Domenica delle Palme: Passione del Signore (Anno C)
Commemorazione dell’ingresso del Signore in Gerusalemme
Lc 19,28-40
Alla Messa
Is 50,4-7;
Sal 21;
Fil 2,6-11;
Lc 22,14-23,56
Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
COMMENTO BIBLICO-MISSIONARIO
Il cuore della missione divina
La domenica delle Palme è chiamata anche Domenica della Passione del Signore, perché «due antiche tradizioni plasmano questa celebrazione liturgica, unica nel suo genere: l’usanza di una processione a Gerusalemme e la lettura della Passione a Roma» (Direttorio omiletico 77). Perciò, continua il documento ecclesiastico, «l’esuberanza che circonda l’entrata regale di Cristo [a Gerusalemme], lascia immediatamente il posto a uno dei Canti del Servo Sofferente e alla solenne proclamazione della Passione del Signore». Così, siamo entrati subito nel clima della Settimana Santa, degli eventi dell’ultima settimana di Gesù a Gerusalemme, la quale si è rivelata il culmine della sua vita terrena e il cuore della sua missione divina.
A tal proposito, come sottolinea ancora il documento citato, «nelle celebrazioni liturgiche della Settimana che comincia non ci limitiamo alla mera commemorazione di ciò che Gesù ha fatto; siamo immersi nello stesso mistero pasquale, per morire e risorgere con Cristo». In altri termini, non si tratta di un semplice ricordo di quanto successo nel passato, bensì un’attuazione del mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù per noi nel presente. Siamo invitati a rivivere questi eventi, a partecipare in essi, di più, a morire a noi stessi per una nuova vita in Cristo e in Dio. Sarà quindi fondamentale un ascolto attento e docile alla Parola di Dio che ci parla abbondantemente oggi e nei prossimi giorni nelle letture e anche nelle varie orazioni liturgiche. Occorre, inoltre, un atteggiamento di raccolta e meditazione personale su quanto ascoltato per rientrare nella profondità del mistero celebrato.
La Passione di Gesù (sofferente, morto, risorto) è stata il centro dell’annuncio dei primi cristiani, perché è effettivamente il cuore della sua missione divina. Tant’è vero che il vangelo è stato chiamato elegantemente come “il racconto della Passione con una lunga introduzione”. In essa si è compiuta la missione che Dio ha affidato a suo Figlio, inviandolo nel mondo. Da essa parte la missione che Gesù ora affida ai suoi discepoli: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21), dice il Cristo risorto ai discepoli.
Perciò, la ricchezza spirituale della Passione di Gesù è immensa per la vita e la missione dei cristiani. Ciò che condivido per questi giorni santi non sarà che qualche flash/nota introduttiva per invitare ogni ascoltatore/lettore a un’ulteriore approfondimento e riflessione personale. Per questa domenica delle Palme, tre aspetti sono particolarmente significativi da tener presenti, partendo da un’immagine suggestiva: Gesù su un puledro.
1. Il puledro di Gesù
Per l’entrata trionfale a Gerusalemme come re messia, Gesù ha voluto cavalcare un puledro. Qualcuno potrebbe chiedere come mai non su un cavallo per rimarcare il carattere regale, vittorioso e potente? La risposta viene dalla Sacra Scrittura stessa. Come il vangelo di Matteo sottolinea, «Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: Dite alla figlia di Sion: Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina, e su un puledro, figlio di una bestia da soma» (Mt 21,4-5; cf. Zc 9,9). La scelta di Gesù vuole quindi sottolineare il compimento dell’era messianica preannunciata e, nello stesso tempo, mettere in risalto la mitezza, e non la potenza, come suo carattere distintivo nel realizzare il piano divino. La sua vittoria non sarà mai quella del dominio violento che annienta i nemici, ma quella dell’amore mite e misericordioso che solleva tutti alla nuova vita in Dio.
D’altra parte, a quanto pare, se il cavallo è animale associato al tempo di guerra, l’asino/puledro è animale della quotidianità e del tempo della pace. Così, l’immagine di Gesù sul puledro segnala un’altra caratteristica fondamentale della nuova era messianica che Egli ora stabilisce: la pace, quello Shalom ebraico, che non significa solo l’assenza di guerre, ma anche e soprattutto la vita in piena armonia con Dio, da cui viene ogni felicità, benessere, e prosperità. Tant’è vero che, come nota l’evangelista Luca, la folla che accompagnava Gesù ha acclamato «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!».
2. Il compimento della missione della pace
Gesù allora è il re della pace, o “principe della pace”, per usare il titolo che il profeta Isaia ha dato al bambino nato per la salvezza del popolo (cf. Is 9,5ss; anche Zc 9,10). A tal riguardo, ecco le parole di san Paolo apostolo ispirate dalla sua meditazione sulla passione e morte di Cristo: «Egli [Gesù] infatti è la nostra pace». Sono parole davvero profonde da rileggere nel loro contesto integrale: «Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una sola cosa, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito» (Ef 2,13-18).
La missione di Gesù quindi è quella che Dio ha dichiarato tramite il profeta Geremia: «Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo - oracolo del Signore -, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza» (Ger 29,11). Per questo, quando Gesù ha inviato i suoi discepoli, ha raccomandato a loro di salutare «Pace a questa casa» (Lc 10,5). Il Cristo risorto ha salutato i suoi proprio così: “Pace a voi”.
3. La missione continua
Egli, vero operatore della pace, ha proclamato beati i suoi discepoli che operano la pace, quella genuina divina che parte da un cuore riconciliato con Dio (cf. Mt 5,9). E per la pace, Gesù, il re messia, ha sacrificato se stesso, per far vivere tutti in Dio (piuttosto che far morire gli altri). In un mondo ancora lacerato dai conflitti e da guerre insensate per affermare il proprio dominio, forse è giunta l’ora, anche per i discepoli di Gesù, di annunciare ancora più forte e convinti Cristo come “nostra pace”. Anzi, egli rimane sempre la nostra unica e genuina pace da condividere con tutti. Una pace duratura, frutto della missione di Cristo che continua nei suoi discepoli missionari e che si attua ancora misticamente in questa Settimana Santa della Passione, morte e risurrezione di Gesù.