
III Domenica del Tempo di Quaresima (Anno C)
Santa Claudia e compagne, Martiri; San Giovanni Nepomuceno, Sacerdote e martire
Es 3,1-8a.13-15;
Sal 102;
1Cor 10,1-6.10-12;
Lc 13,1-9
Il Signore ha pietà del suo popolo
COMMENTO BIBLICO-MISSIONARIO
Chiamati alla conversione
Ci avviamo con questa domenica verso la metà della Quaresima e quindi anche verso il fulcro del cammino quaresimale. Proprio in tale contesto temporale, la Liturgia della Chiesa fa risuonare nel Vangelo di oggi l’invito pressante di Gesù alla conversione: «Se non vi convertite, perirete tutti» (Lc 13,5). Si tratta della frase, ripresa anche nella Liturgia della messa nell’Antifona alla comunione, per sottolineare l’importanza del tema su cui riflettere seriamente, almeno una volta nella vita. Proprio ora, in mezzo all’itinerario quaresimale, di fronte a continue notizie tragiche di pandemie, guerre, morti innocenti.
In tale situazione, il Dio misericordioso ci dona ancora oggi la sua Parola per indicarci i punti essenziali su cui riflettere per una vera e fattiva conversione nella vita di ciascuno e ciascuna di noi. A tal proposito, sono tre i messaggi urgenti.
1. Il fico nella vigna: una parabola per riflettere
La parabola del fico sterile, appena proclamata, si trova solo nel vangelo di Luca. È molto immediata, perché ogni ascoltatore capisce al volo il suo appello ad un cambiamento di fronte al pericolo imminente. Ci sono comunque alcuni aspetti da chiarire per una giusta comprensione ed apprezzamento del messaggio.
Anzitutto, il racconto parabolico ha un finale aperto, nel senso che non si sa quale sarà la reazione del fico in futuro. Darà o non darà frutti? Questa ora è la domanda, che deciderà la risposta all’interrogativo Shakespeariano “essere o non essere”. Tale finale vuole invitare ogni ascoltatore a pensare, ripensare, e decidere per il fico. In altri termini, il fico sei tu che stai ascoltando la Parola di Dio, annunciata oggi in questa parabola. Sì, è per me, per te, per ognuno/ognuna di noi singolarmente. Lasciamo perdere per un momento la nostra preoccupazione per la salvezza degli altri. Tale cura e premura per il prossimo è santa, lodevole, molto cristiana, ma del tutto fuori luogo adesso, perché la Parola di Dio è indirizzata a me e a te personalmente, non agli altri. Pensa perciò ora piuttosto e soprattutto alla tua vita individuale, e non a quella altrui, alla conversione personale da fare, e non a quella che, secondo te, devono fare gli altri! Il futuro dipende da te.
In secondo luogo, nella parabola va sottolineata la cura molto speciale per il fico da parte di tutti e due i protagonisti del raccolto, sia di colui che ha piantato, sia del vignaiolo. Qui, non ci dovrà essere una visione “dicotomica” fuorviante che vede nel padrone della vigna un “cattivone” impaziente che vuole solo tagliare il “povero” fico, e nel vignaiolo il buono che intercede. Al riguardo, dovrà catturare la nostra attenzione l’immagine del fico nella vigna. Questo risulta, per certi versi, un fatto insolito, anche se esisteva l’usanza in Israele di coltivare nelle vigne anche altri alberi. Esso dimostra l’attenzione particolare che il Piantatore ha per il fico (che normalmente dovrà “accontentarsi” del suo posto meno privilegiato come lungo la strada o il fiume a causa della sua natura). Egli, il padrone, ha voluto per il fico il terreno buono, anzi ottimo, quello della “sua vigna” e lo ha lasciato “sfruttare il terreno” riservato alle uve, perché è ormai il suo fico, quello a cui Egli vuole bene.
Tenendo presente ciò, risulta comprensibile l’aspettativa del Piantatore che cercava frutti dal fico, una risposta positiva alla cura speciale che ha sempre avuto per esso. Evidente è anche la sua pazienza lunga ben “tre anni”, come pure ragionevole è l’impazienza alla fine quando Egli parla con il vignaiolo, suo collaboratore: «Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?» E qui, nel dialogo tra i due, si può intravedere paradossalmente ancor di più le attenzioni riservate al fico. Nei confronti di quest’ultimo, il Piantatore e il vignaiolo non sono l’uno contro l’altro. Sono in stretta comunione e collaborazione fin dal principio, durante tutti e tre gli anni, e anche ora, quando si propone un’ulteriore cura speciale ancora per un altro anno: «finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime». Si tratta di un’azione davvero straordinaria; non si fa questo per un fico che normalmente già per natura darà frutti anche senza concime lungo la strada, tanto più che si trova su un buon terreno, quello della vigna.
Se il fico sei tu, che stai ascoltando la Parola, vedi e nota tu stesso la cura e la premura speciale che Dio ha per te lungo gli anni della tua vita. Ricòrdati di tutto ciò ora, affinché tu possa sentire la necessità urgente del ritorno al Dio buono. Il resto sarà solo poesia.
2. YHWH «Io-Sono»: un Nome da ricordare
Alla luce di questa nostra riflessione, non a caso quindi la Liturgia della Chiesa in questa domenica della conversione ci fa riascoltare nella prima lettura la rivelazione del Nome di Dio d’Israele. Abbiamo di fronte uno dei brani più importanti della Scrittura ebraica, se non addirittura il più importante, perché per la prima volta nella storia, Dio rivela il suo nome, che nella tradizione biblico-giudaica, come ben sappiamo, indica la natura, identità, missione. «Io sono colui che sono!», o semplicemente «Io-Sono» che corrisponde al celebre tetragramma YHWH (non pronunciabile per rispetto). È l’Eterno-Sono che si mostra, nel contesto del brano, pieno di attenzione, cura e premura concreta per il suo popolo: «Ho osservato la miseria (…) e ho udito il suo grido (…) conosco le sue sofferenze (…) sono sceso per liberarlo (…) per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa». In effetti, tale rivelazione del nome divino a Mosè qui, ai piedi del monte Oreb, cioè Sinai, si completa con quella successiva, dopo l’uscita dall’Egitto, sulla cima del medesimo monte, quando Dio, l’Eterno-Sono, su richiesta dello stesso Mosè, ha esplicitato la sua essenza perenne: «Il Signore (YHWH), il Signore (YHWH), Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34,6).
Sono parole particolarmente meditate e memorizzate nella tradizione ebraica, infatti le ritroviamo anche, ad es., nel salmo responsoriale: «Misericordioso e pietoso è il Signore, / lento all’ira e grande nell’amore». E ciò che il Salmista canta con amore e riconoscenza sarà vero anche nella vita di ognuno/ognuna di noi, suoi fedeli: «Egli perdona tutte le tue colpe, / guarisce tutte le tue infermità, / salva dalla fossa la tua vita, / ti circonda di bontà e misericordia». Allora, anche ognuno/ognuna di noi potrà dire alla propria anima con le parole ispirate: «Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tutti i suoi benefici». Non dimenticare, anzi, ricordare, per ritornare a Colui che è Eterno-Amore-Misericordia.
3. «Convertitevi e credete al Vangelo»: un’urgenza da accogliere e rilanciare
L’invito di ritornare a Dio si fa più che mai pressante con la venuta di Gesù e nel suo annuncio. Perché? È perché, nelle sue prime parole all’inizio delle attività pubbliche, «il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino» (Mc 1,15a), o letteralmente, “si è avvicinato” in modo dinamico (piuttosto uno statico “essere vicino e fermo”). Da quel momento, tutta l’umanità è entrata nel tempo cosiddetto escatologico, quello della fine dei tempi, quello della salvezza finale. Perciò, completando la frase, Gesù esorta: «Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15b). L’insegnamento di Gesù oggi va accolto proprio in questa prospettiva della fine, che san Paolo apostolo ha compreso e ha ribadito ai primi cristiani, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura: «Ciò [quanto successo con il Popolo che morì nel deserto] avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono. (…) e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi».
L’appello accorato di Gesù alla conversione alla fine dei tempi riprende in realtà il desiderio costante del Dio pietoso e misericordioso che non vuole mai la morte del malvagio, ma piuttosto che si converta e viva (cf. Ez 18,23; 33,11). Tuttavia, va chiarito che, come si vede dall’accennato primo annuncio di Gesù, il convertirsi è intrinsecamente connesso con il credere al Vangelo, vale a dire un aderire totale alla buona notizia della salvezza offerta da Dio in Gesù. Non si tratta ora del solito sforzo umano di allontanarsi dalla vita moralmente peccaminosa, bensì di un coraggioso andare oltre gli schemi abituali di pensiero (proprio come indica l’etimologia del vocabolo greco per conversione “metanoia”) per accogliere la nuova vita di grazia con e in Gesù. Tale conversione è ora il ritorno, anzi un andare oltre, gradito a Dio. Essa è stata al centro della missione di Gesù e poi dei suoi primi discepoli, e così rimarrà al centro della missione dei suoi fedeli seguaci che sono chiamati a operare sempre per la conversione di tutti a Dio, a partire da loro stessi. (Proclamava perciò a suo tempo il beato Paolo Manna, instancabile missionario e fondatore dell’attuale Pontificia Unione Missionaria: «Tutte le chiese per la conversione di tutto il mondo» [frase citata anche nell’Enciclica Redemptoris Missio di san Giovanni Paolo II]. Nello spirito di tale motto si potrebbe anche annunciare ora per un rilancio dello zelo missionario: “Tutte le forze per la conversione di tutto il mondo”).
«Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Ciò che Gesù ha detto a tutti, si rivolge particolarmente oggi a noi suoi discepoli che ci impegniamo a portare avanti la sua missione di evangelizzazione. Non solo per il fico, ma per qualsiasi albero sterile ci sarà una fine tragica: «Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco» (Mt 7,19). Così Egli afferma e continua con un monito terribile che riporto non senza qualche brivido, perché è indirizzato forse ai suoi stessi discepoli che fanno “grandi cose” nel suo nome: «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”» (Mt 7,21-23). Il buon frutto che Dio aspetta, innanzitutto, non sono i prodigi compiuti, ma la nostra umile conversione costante nel credere in, e nel crescere sempre di più nella conoscenza di, Dio Padre e Gesù, colui che Egli ha mandato.
Infine, l’esortazione odierna di Gesù alla conversione viene fatta immediatamente dopo il suo rimprovero assai duro a quelli, capaci di prevedere le cose materiali, ma incapaci del discernimento spirituale dei segni dei tempi per la propria valutazione e azione giusta: «Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?» (Lc 12,56-57). Tutto quindi si trova in un contesto altamente sapienziale. Nella sollecitazione alla conversione tempestiva si richiama la sapienza per la vita di fronte a Dio. Chi ha orecchi, ascolti! Riconosca la generosità di Dio nella vita e produca il frutto della conversione!