
12 ottobre 2021 - Martedì, 28a Settimana del Tempo Ordinario
Rm 1, 16-25
Sal 18
Lc 11, 37-41
I testi della Liturgia della Parola dell’odierna celebrazione eucaristica mettono davanti ai nostri occhi la fede senza compromessi di San Paolo:
Fratelli, io non mi vergogno del Vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo, prima, come del Greco. In esso infatti si rivela la giustizia di Dio, da fede a fede, come sta scritto: «Il giusto per fede vivrà».
San Paolo denuncia poi i peccati dei pagani, inescusabili per i loro ragionamenti contorti e le loro deviazioni morali, benché le opere di Dio siano loro chiaramente manifeste:
Infatti l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute.
Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con un’immagine e una figura di uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i propri corpi, perché hanno scambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno adorato e servito le creature anziché il Creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.
Il salmo 18 afferma con tutta chiarezza che la creazione narra e annunzia la gloria di Dio:
I cieli narrano la gloria di Dio, e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il racconto e la notte alla notte ne trasmette notizia. Senza linguaggio, senza parole, senza che si oda la loro voce, per tutta la terra si diffonde il loro annuncio e ai confini del mondo il loro messaggio.
Il vangelo ci riporta lo scandalo del fariseo che aveva invitato Gesù: il Maestro non aveva fatto le abluzioni rituali prima di mettersi a tavola. L’indignazione di Gesù ristabilisce la verità:
Voi farisei pulite l'esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria. Stolti! Colui che ha fatto l'esterno non ha forse fatto anche l'interno? Date piuttosto in elemosina quello che c'è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro.
La fede senza compromessi di San Paolo, come, d’altra parte, anche l’insipienza orgogliosa dei pagani e la grettezza di spirito dei farisei, dovrebbero interrogare il pensare e l’agire dei cristiani di oggi.
Ci aiuta in questo San Alberto Hurtado, gesuita cileno, che fu un uomo profondamente spirituale, infaticabile nel suo lavoro per i giovani e gli operai, grande apostolo della gioia (“contento, Signore, contento!”). Un suo testo, scritto a Parigi nel novembre del 1947, intitolato “Elementi di vita spirituale”, ci dà ampio motivo di riflessione:
Se confrontiamo il Vangelo con la vita della maggior parte di noi cristiani, avvertiamo un senso di malessere… La maggior parte di noi ha dimenticato che siamo il sale della terra, la luce del mondo, il lievito nella massa (Mt 5,13-15). Il soffio dello Spirito non anima molti cristiani: ci consuma uno spirito di mediocrità. Ci sono fra noi molte persone attive, e più che attive, agitate, ma le cause che ci consumano non sono la causa del cristianesimo.
Dopo aver guardato e riguardato a me stesso e a quello che c’è intorno a me, prendo il Vangelo, cerco S. Paolo e lì incontro un cristianesimo che è tutto fuoco, tutto vita, un cristianesimo conquistatore; un cristianesimo vero, che prende tutto l’uomo, che rettifica tutta la vita, che esaurisce ogni attività. È come un fiume di lava ardente, incandescente, che sale dal fondo stesso della religione.
Nel nostro tempo si fa della religione una formalità mondana, un pio sentimentalismo, una polizia pacifica: “Non rompere niente, non permettere che si rompa niente!”. Si potrebbe esprimere così questo cristianesimo di buon gusto, negativo, vuoto di passione, senza sostanza, senza Cristo, senza Dio. Un cristianesimo senza fuoco e senza amore, di gente tranquilla, di persone soddisfatte, di uomini timorosi, oppure di quelli a cui piace comandare e che vogliono essere obbediti. Non c’è affatto bisogno di un cristianesimo così.
Ma per fortuna si incontrano ovunque gruppetti di cristiani che hanno compreso il senso del Vangelo: giovani che desiderano servire i loro fratelli; sacerdoti che portano la ferita aperta che continua a sanguinare nel vedere tanto dolore, tanta ingiustizia, tanta miseria; uomini e donne che prolungano per noi la presenza di Cristo in mezzo a noi, dietro una tonaca, una tuta da lavoro o un abito festivo. Sono luminosi come Cristo e benefattori come Lui. Cristo abita in essi e questo ci basta. Non possiamo fare a meno di amarli, di prenderli per mano e, attraverso di loro, entriamo in questo Corpo immenso, animato dallo Spirito.
Questi sono i veri cristiani, coloro in cui Cristo è entrato fino in fondo, ha preso tutto in essi, ha cambiato tutta la loro vita: un cristianesimo che li ha trasformati, che si comunica, che illumina. Sono la consolazione del mondo. Sono la Buona Notizia permanentemente annunciata. In essi tutto è una predica: la parola, certo, ma anche il sorriso e la bontà, la mano tesa, la rassegnazione, l’assenza totale di ambizione, la gioia costante. Vanno sempre avanti, spaccati forse di dentro, abbracciando serenamente le difficoltà, dimentichi di sé, completamente donati…
Niente li ferma, né il disprezzo dei grandi, né l’opposizione sistematica dei potenti, né la povertà, né la malattia, né le burle: amano e questo loro basta!
Hanno fede, sperano. In mezzo ai loro dolori, sono le persone felici del mondo. Il loro cuore, dilatato all’infinito, si alimenta di Dio.
Sono la Chiesa che nasce fra noi. Sono Cristo che vive fra noi ed è da Lui che viene la loro nobiltà, da Lui, a cui si sono donati donandosi ai loro fratelli disgraziati. Il fatto di aver capito che anche gli altri erano figli di Dio, fratelli di Cristo, li ha fatti crescere. Fra loro, Dio, Cristo e gli altri c’è adesso un vincolo definitivo. Essi comprendono che la loro missione è di essere un ponte verso il Padre, un ponte per tutti. Tutti insieme, tutti i figli del Padre, portati dal Figlio Gesù Cristo, tutti che arrivano al Padre per mezzo di Lui, e questo mediante la nostra azione, l’azione di ognuno di noi. Tutta l’umanità che lavora a quest’opera, aiutati dai militanti di ieri, che alla sera del loro lavoro hanno già ricevuto la loro ricompensa.
Como può avvenire che non viviamo di più in questa prospettiva? Sapendoci consacrati a Dio, non possiamo continuare a vivere curvi su noi stessi, né sui nostri meriti e neppure sui nostri peccati…, ma dobbiamo invece imitare il Salvatore, energico e dolce, che “avendo amato i suoi, li amò fino alla fine” (Gv 13,1).
Una condizione
Una condizione perché il cristianesimo prenda tutte le nostre vite è conoscere intimamente Cristo, il suo messaggio, e conoscere gli uomini del nostro tempo ai quali va questo messaggio. Pochi apostoli, sacerdoti o laici, sono preparati per l’apostolato moderno. L’azione non penetra, resta in superficie. Chi non ha sentito dentro di sé desideri ardenti che, una volta comunicati agli altri, producono in loro soltanto risultati superficiali? I nostri pensieri più chiari non trovano facilmente la strada dell’intelligenza e neppure del cuore per arrivare agli altri.
Predichiamo una dottrina sicura. Ripetiamo il Vangelo, i Padri, San Tommaso, le encicliche,… tuttavia il contatto è superficiale, il nostro dinamismo non ha mosso coloro che desideravamo muovere.
Ma c’è di più: se andiamo da quelli che sembrano grandi guide di uomini, a coloro che hanno avuto successo nella loro azione sociale o civile, a quelli che sono riusciti a mettere un po’ più di giustizia e di felicità nel mondo, e se a costoro chiediamo se sono contenti della loro azione, ci risponderanno che si rendono perfettamente conto che sono riusciti a toccare il problema solo in superfice, che la società sempre sfugge da ogni azione moralizzatrice e, più ancora, santificatrice. Ci vorrebbero geni e santi per porre rimedio a mali tanto profondi… e perfino costoro dovrebbero essere perseveranti!
Quando un apostolo parte troppo in fretta per l’azione o smette il suo lavoro di formazione, ne patisce le conseguenze. Nell’azione apostolica uno rimane al livello del suo vero valore. Solo il santo santifica, solo la luce illumina, solo l’amore riscalda.
Di solito, di fronte all’apostolo, si lasciano penetrare dalla sua azione gruppetti facili: bambini, religiose, anime pie… Gli apostoli, soprattutto di fronte agli uomini, stanno come disarmati, perché per loro hanno soltanto formule fatte, astratte o logore, prese da manuali… Non sanno servirsi neppure delle encicliche, perché non conoscono l’ambiente nel quale si applicano.
Molti apostoli di oggi falliscono per essere partiti troppo presto, oppure per essersi accontentati in seguito con quello che avevano di scienza, esperienza, virtù. Si sono sentiti completi troppo presto.
I laici… sono rimasti militanti mediocri, senza una vera formazione. I sacerdoti, sempre fuori dalla vita, fuori dalla realtà, disadattati o mal compresi, hanno ripetuto sempre gli stessi clichés davanti ad una clientela troppo facile, mentre l’immensa massa continua ancora ad ignorare che c’è Dio e che Cristo è venuto…, senza che ci sia chi ricordi ai potenti, ai superiori, come anche agli umili i loro doveri, né chi indichi la strada nei momenti critici.
Bisogna conoscere con la conoscenza della Sapienza, che è più ricca, più profonda della semplice scienza; conoscere gli uomini e amarli appassionatamente come fratelli di Cristo e figli di Dio; conoscere la nostra società malata, come fa il medico per auscultarla. Quanti sono coloro che prendono il tempo per studiare la trama complessa della nostra vita sociale, delle sue correnti intellettuali, dei suoi ingranaggi economici, dei suoi imperi legali, delle sue tendenze politiche? Per agire con prudenza bisogna conoscere. Il prezzo della nostra conquista deve essere il mettere in azione tutte le nostre energie per collaborare con la grazia.
Conoscenza profonda di Cristo: la teologia in pillole di tesi non può bastare. La sapienza si impone. Lo sguardo dell’umile che si avvicina a forza di purezza allo sguardo di Dio; lo sguardo del contemplativo su Cristo, nel quale si riassume tutto, che è speranza della nostra salvezza. L’apostolo deve integrare la sua azione al piano di Cristo sul nostro tempo; deve conoscere bene Cristo e conoscere bene il nostro tempo per avvicinarsi ad essi con amore. Tutto sta qui (e questo suppone quella immensa umiltà che è quella che ci rende disponibili a ricevere le grazie dall’alto).
Spiritualità sana, che non consiste soltanto in pie pratiche, né in sentimentalismi, ma in coloro che si lasciano prendere interamente da Cristo, che riempie le loro vite. Spiritualità che si nutre di profonda contemplazione, nella quale si impara a conoscere e ad amare Dio e i fratelli, gli uomini del proprio tempo. Questa spiritualità è quella che farà della Chiesa il lievito del mondo.