III Domenica di Avvento (Anno B)

17 dicembre 2023

Is 61,1-2.10-11;
Lc 1,46-54;
1Ts 5,16-24;
Gv 1,6-8.19-28

COMMENTARIO BIBLICO-MISSIONARIO

La testimonianza a Cristo “al di là del Giordano”

La terza domenica di Avvento è chiamata tradizionalmente domenica Gaudete ossia “Gioite!” o “Rallegratevi!”, dalla prima parola dell’Antifona d’ingresso della messa. Siamo perciò invitati a gioire, perché è ormai vicina la festa della venuta del Signore, spiritualmente e anche letteralmente (infatti, il 25 dicembre è all’orizzonte). In questo contesto di attesa gioiosa, il Vangelo odierno ci esorta a meditare ancora su san Giovanni Battista, descritto ora come «uomo mandato da Dio», vale a dire il “missionario” di Dio, che «venne come testimone per dare testimonianza alla luce», Gesù, il Verbo divino. Così, i dettagli del Vangelo di oggi hanno una chiara prospettiva missionaria, perché ci aiutano ad approfondire alcuni aspetti fondamentali nella testimonianza data da Giovanni a Gesù, colui che viene. Perciò, una scrutatio o lectio divina del testo evangelico appena ascoltato sarà importante ed utile anche per tutti noi cristiani, chiamati a essere testimoni gioiosi di Gesù Cristo di fronte al mondo.

1. «Io non sono il Cristo». L’umile testimonianza di Giovanni Battista su se stesso

Con la descrizione di Giovanni come «uomo mandato da Dio» si chiarisce subito la missione di Dio per e nel Battista (cf. Gv 1,33; 3,28). Giovanni è “uomo”, ma compie la missione divina con l’autorità “celeste” per «dare testimonianza alla luce» (vv.7-8). Perciò, segue la proclamazione solenne del nome: Giovanni che significa proprio “grazia di Dio”. (Una presentazione paragonabile con quella di Maria in Lc). Giovanni il “missionario” è caratterizzato anche dall’affermazione che segue: «Egli venne come testimone...», come le auto-affermazioni di Gesù sulla propria missione: «Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (cf. Gv 10,10; 12,47; Mc 10,45; Mt 20,28). Tuttavia, si precisa di seguito che «non era lui la luce», e così si anticipa la “formula di testimonianza” del Battista di fronte agli “inviati” dei capi religiosi del tempo: «non sono il Cristo, Elia, il profeta» (vv.20.21.25). Giovanni Battista comunque è una piccola “lucina”, «la lampada che arde e risplende» (Gv 5,35) e così dà testimonianza a Cristo che è la Luce del mondo (Gv 8,12; 9,5; cf. 3,19).

Rispondendo a quelli che lo interrogarono sulla sua identità (messianica) (“chi sei?”; vv.19.22) (quasi come l’interrogatorio che Gesù ha subìto di fronte al Sinedrio durante il suo processo), Giovanni Battista ha dato con coraggio e sincerità la sua testimonianza su di sé in due fasi, prima su ciò che egli non è (vv.19-21) e poi, su ciò che egli è (vv.22-23). Nella prima parte, va notata la costruzione particolare della frase per mettere in risalto la confessione negativa di Giovanni “Non sono...” che così appare in contrasto con le sette autodichiarazioni di Gesù con il predicato “Io sono” (pane di vita, luce del mondo, buon pastore...) in Gv, come pure la confessione di Gesù in Mc 14,62 (“Sei il Cristo?” – “Io lo sono”). Le domande dei capi religiosi vertono sull’identità dei personaggi escatologici: il Cristo, cioè il messia, l’unto re davidico alla fine dei tempi; Elia – colui che prepara la venuta del giorno del Signore (cf. Ml 3); il Profeta, quello escatologico potente come Mosè, predetto in Dt 18. Giovanni Battista negò queste identità, per mettere in risalto successivamente ciò che egli è (vv.22-23): la voce, come sant’Agostino ha commentato, «Giovanni è la voce che passa, Cristo è il Verbo eterno che era in principio» (Disc. 293, 3; PL 1328-1329). Si tratta della confessione della sua missione senza pretendere nessuna dignità, come già notato da san Bonaventura, che parla di un’affermazione dell’umile verità. L’umiltà del Battista viene riaffermata al v. 27 («a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo»).

Ecco ciò che Giovanni Battista ci insegna oggi sulla nostra testimonianza a Cristo da dare al mondo nella missione evangelizzatrice. Occorre riconoscere sempre che non siamo Cristo, né qualche profeta divino che sta salvando il mondo. Occorre sempre andare oltre l’eccessiva concentrazione su noi stessi, sulla nostra “persona”, sulle nostre visioni, sui nostri progetti, dimenticando di essere semplici servi e araldi di Cristo, Colui che deve venire. Occorre sempre tenere presente l’insegnamento importante di Papa Francesco al riguardo nel Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2022:

È Cristo, e Cristo risorto, Colui che dobbiamo testimoniare e la cui vita dobbiamo condividere. I missionari di Cristo non sono inviati a comunicare sé stessi, a mostrare le loro qualità e capacità persuasive o le loro doti manageriali. Hanno, invece l’altissimo onore di offrire Cristo, in parole e azioni, annunciando a tutti la Buona Notizia della sua salvezza con gioia e franchezza, come i primi apostoli.

2. «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete». La testimonianza di Giovanni Battista su Cristo, il misterioso “sconosciuto” colui che viene dopo

Curiosamente, la testimonianza su Cristo di Giovanni non afferma niente sull’identità di “colui che viene dopo di me”. Tuttavia, indirettamente, nel contesto dell’interrogatorio e della testimonianza di Giovanni, quel misterioso “sconosciuto” Colui-che-viene è, a differenza di Giovanni stesso, “il Cristo”. Anzi, Egli è il Signore, la cui via Giovanni Battista chiama tutti a preparare e a raddrizzare (v.23).

Nella risposta di Giovanni Battista alla domanda «perché battezzi?», va notato che la prima frase sembra incompleta («Io battezzo nell’acqua»). Essa lascia una suspense nella narrazione e troverà il suo compimento successivamente in Gv 1,33: «Colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”» (cf. Mc 1,7-8). Qui, nella prima allusione a Cristo, Giovanni Battista si ferma sull’idea del Messia che rimane nascosto, sconosciuto, fino alla sua apparizione ufficiale ad Israele. Di fronte alla grandezza di Cristo, il Battista riconosce ancora la sua indegnità: «non sono degno di slegare il laccio del sandalo» (frase divenuta caratteristica di Giovanni e trovata anche in At 13,25). Abbiamo ancora la costruzione “non sono” (!) nei confronti di colui che viene e che è «degno di prendere il libro - e di aprirne i sigilli» (Ap 5,9).

La testimonianza del Battista quindi è la totale negazione di sé per l’affermazione totale del Cristo. Il Battista concluderà infatti la sua “testimonianza” in Gv di non essere lui il Cristo (cf. Gv 3,28) con la frase nel contesto della gioia che diventa piena al sentire la voce di Cristo lo sposo:

Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: «Non sono io il Cristo», ma: «Sono stato mandato avanti a lui». Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire. (Gv 3,28-30)

Lui deve crescere; io, invece, diminuire - Illum oportet crescere, me autem minui (Gv 3,30). Ecco la gioia del Vangelo, la gioia dei missionari autentici di Dio e di Cristo. Che Egli sempre cresca nel cuore di quelli che serviamo, e noi diminuiamo fino all’uscita completa di scena, come Giovanni Battista. (Vuoi, allora, imparare anche tu qualcosa dal Battista nel tuo relazionarsi con Cristo? Riconoscerai che non sei tu il più importante del mondo, e lo farai con gioia? Sei disposto a negare te stesso per affermare, per far crescere, il Cristo che sta in mezzo a noi e che viene?)

3. «Al di là del Giordano». La nota conclusiva significativa sul luogo della testimonianza

Il brano evangelico termina con una nota apparentemente “neutra” o addirittura “insignificante” sul contesto geografico della testimonianza di Giovanni: «Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano». Si tratta di un luogo misterioso e sconosciuto finora (con tante ipotesi di mezzo), ma da non confondere con Betania vicina a Gerusalemme dove si trova la casa di Maria, Marta e Lazzaro. Tuttavia, con la precisazione “al di là del Giordano” quest’indicazione geografica acquisisce ancora più importanza per due motivi. Anzitutto, essa torna ancora in Gv 10,40 («[Gesù] ritornò quindi nuovamente al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui rimase»), per formare un significativo e bell’arco narrativo. Da quel luogo Gesù comincia le sue attività e le finisce anche là, prima di affrontare l’ultima fase della morte e risurrezione, preannunciata dall’episodio di Lazzaro (cf. Gv 11). Inoltre, l’espressione «al di là del Giordano» rievoca la posizione del popolo eletto prima di entrare nella Terra promessa. Questo è proprio il luogo dell’attesa, quella gioiosa, perché la meta è già là di fronte, visibile, osservabile, sentita, dopo un lungo cammino. In questo luogo siamo tutti invitati ad andare spiritualmente: immergerci nella situazione del popolo eletto per potere comprendere la gioia dell’arrivo a destinazione, nella salvezza a lungo desiderata.

Preghiamo allora che il Signore rinnovi in questi giorni la sapienza e la gioia del Vangelo nell’attesa del Natale ormai vicino, affinché, come Giovanni Battista, possiamo testimoniare umilmente e coraggiosamente il Cristo Salvatore che viene per donare a tutti la pace e la salvezza di Dio. Amen.

 

Spunti utili:

Catechismo della Chiesa Cattolica

523 San Giovanni Battista è l'immediato precursore del Signore, 209 mandato a preparargli la via. «Profeta dell’Altissimo» (Lc 1,76), di tutti i profeti è il più grande e l'ultimo; egli inaugura il Vangelo; saluta la venuta di Cristo fin dal seno di sua madre e trova la sua gioia nell'essere «l’amico dello sposo» (Gv 3,29), che designa come «l’Agnello di Dio [...] che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29). Precedendo Gesù «con lo spirito e la forza di Elia» (Lc 1,17), gli rende testimonianza con la sua predicazione, con il suo battesimo di conversione ed infine con il suo martirio.

524 La Chiesa, celebrando ogni anno la liturgia dell'Avvento, attualizza questa attesa del Messia: mettendosi in comunione con la lunga preparazione della prima venuta del Salvatore, i fedeli ravvivano l'ardente desiderio della sua seconda venuta. Con la celebrazione della nascita e del martirio del Precursore, la Chiesa si unisce al suo desiderio: «Egli deve crescere e io invece diminuire» (Gv 3,30).

719 Giovanni è «più che un profeta». In lui lo Spirito Santo termina di «parlare per mezzo dei profeti». Giovanni chiude il ciclo dei profeti inaugurato da Elia. Egli annunzia che la consolazione di Israele è prossima; è la «voce» del Consolatore che viene. Come farà lo Spirito di verità, egli viene «come testimone per rendere testimonianza alla Luce» (Gv 1,7). In Giovanni, lo Spirito compie così le «indagini dei profeti» e il «desiderio» degli angeli: «L’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio. [...] Ecco l'Agnello di Dio» (Gv 1,33-36).

Papa Francesco, Angelus, Piazza San Pietro III Domenica di Avvento, 17 dicembre 2017

Nelle scorse domeniche la liturgia ha sottolineato che cosa significhi porsi in atteggiamento di vigilanza e che cosa comporti concretamente preparare la strada del Signore. In questa terza domenica di Avvento, detta “domenica della gioia”, la liturgia ci invita a cogliere lo spirito con cui avviene tutto questo, cioè, appunto, la gioia. San Paolo ci invita a preparare la venuta del Signore assumendo tre atteggiamenti. Sentite bene: tre atteggiamenti. Primo, la gioia costante; secondo, la preghiera perseverante; terzo, il continuo rendimento di grazie. Gioia costante, preghiera perseverante e continuo rendimento di grazie.

Il primo atteggiamento, gioia costante: «Siate sempre lieti» (1 Ts 5,16), dice San Paolo. Vale a dire rimanere sempre nella gioia, anche quando le cose non vanno secondo i nostri desideri […]

Le angosce, le difficoltà e le sofferenze attraversano la vita di ciascuno, tutti noi le conosciamo; e tante volte la realtà che ci circonda sembra essere inospitale e arida, simile al deserto nel quale risuonava la voce di Giovanni Battista, come ricorda il Vangelo di oggi (cf. Gv 1,23). Ma proprio le parole del Battista rivelano che la nostra gioia poggia su una certezza, che questo deserto è abitato: «In mezzo a voi – dice – sta uno che voi non conoscete» (v. 26). Si tratta di Gesù, l’inviato del Padre che viene, come sottolinea Isaia, «a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore» (61,1-2). Queste parole, che Gesù farà sue nel discorso della sinagoga di Nazaret (cf. Lc 4,16-19), chiariscono che la sua missione nel mondo consiste nella liberazione dal peccato e dalle schiavitù personali e sociali che esso produce. Egli è venuto sulla terra per ridare agli uomini la dignità e la libertà dei figli di Dio, che solo Lui può comunicare, e a dare la gioia per questo.

La gioia che caratterizza l’attesa del Messia si basa sulla preghiera perseverante: questo è il secondo atteggiamento. San Paolo dice: «Pregate ininterrottamente» (1 Ts 5,17). Per mezzo della preghiera possiamo entrare in una relazione stabile con Dio, che è la fonte della vera gioia. La gioia del cristiano non si compra, non si può comprare; viene dalla fede e dall’incontro con Gesù Cristo, ragione della nostra felicità. […]

Il terzo atteggiamento indicato da Paolo è il continuo rendimento di grazie, cioè l’amore riconoscente nei confronti di Dio. Egli infatti è molto generoso con noi, e noi siamo invitati a riconoscere sempre i suoi benefici, il suo amore misericordioso, la sua pazienza e bontà, vivendo così in un incessante ringraziamento. […]