I Domenica di Avvento (Anno B)

03 dicembre 2023

Is 63,16b-17.19b; 64,2-7;
Sal 79;
1Cor 1,3-9;
Mc 13,33-37

COMMENTO BIBLICO-MISSIONARIO

«Nell’attesa della sua venuta»

Nella prima domenica di Avvento e al contempo inizio di un nuovo anno liturgico, vorrei sottolineare ancora una volta il carattere missionario di ogni messa, per soffermarci poi sui due aspetti più importanti che la Parola di Dio ci vuole suggerire oggi per la nostra attesa della venuta del Signore.

1. L’indole missionaria e “avventina” di ogni messa

Sarà opportuno riprendere ciò che abbiamo sottolineato già l’anno scorso, fin dall’inizio della nostra avventura con la Parola di Dio:

Ogni messa ha già in sé il carattere missionario, perché è la testimonianza attiva comunitaria della fede cristiana dei partecipanti. Il legame tra la messa celebrata e la missione della Chiesa emerge chiaro con il saluto finale che suona in originale latino “Ite missa est” (da cui proprio deriva il termine messa per la celebrazione eucaristica). Come ci insegna Papa Benedetto XVI, «[Nel saluto ‘Ite, missa est’,] ci è dato di cogliere il rapporto tra la Messa celebrata e la missione cristiana nel mondo. Nell’antichità “missa” significava semplicemente “dimissione”. Tuttavia essa ha trovato nell’uso cristiano un significato sempre più profondo. L’espressione “dimissione”, in realtà, si trasforma in “missione”. Questo saluto esprime sinteticamente la natura missionaria della Chiesa. Pertanto, è bene aiutare il popolo di Dio ad approfondire questa dimensione costitutiva della vita ecclesiale, traendone spunto dalla liturgia» (Esortazione Apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis, n. 51).

L’indole missionaria della messa emerge ancor di più e raggiunge il suo culmine con l’acclamazione dell’assemblea dopo la consacrazione del corpo e sangue di Cristo. All’annuncio del sacerdote Mysterium fidei “Mistero della fede”, il popolo acclama: Mortem tuam annuntiamus, Domine, et tuam resurrectionem confitemur, donec venias “Annunciamo la tua morte, Signore, / proclamiamo la tua risurrezione, / nell’attesa della tua venuta”.

Quest’azione liturgica mette in risalto la vocazione di ogni cristiano al mondo d’oggi di essere annunciatore/testimone dei misteri pasquali della passione, morte, e risurrezione di Cristo, fino alla sua seconda venuta. Anzi, davanti al Gesù eucaristico, ogni partecipante è chiamato a confermare solennemente la missione che Egli stesso ha affidato alla Chiesa, comunità dei fedeli: “Andate e annunciate”, “andate e predicate il Vangelo”, “sarete i miei testimoni”. Tale missione va svolta fino al ritorno di Cristo, come ricordato dal Concilio Vaticano II: «Pertanto, il periodo dell’attività missionaria si colloca tra la prima e la seconda venuta di Cristo, in cui la Chiesa, qual messe, sarà raccolta dai quattro venti nel regno di Dio. Prima appunto della venuta del Signore, il Vangelo deve essere annunziato a tutte le nazioni» (AG 9). In altri termini, tutto il tempo nostro attuale è sempre quello della missione, donec venias “finché [Tu] venga”.

Tale contesto liturgico-missionario generale va vissuto particolarmente nella celebrazione eucaristica dei giorni e delle domeniche di Avvento, quando, tramite le preghiere e le letture previste per ogni messa, si sottolinea appunto l’aspetto dell’attesa della venuta del Signore.

2. «Vegliate […] vegliate […] vegliate!»

Nel breve brano evangelico che abbiamo ascoltato, risuona ben tre volte l’imperativo “vegliate!”, all’inizio, in mezzo e alla fine. Così, il verbo scandisce tutto il messaggio che Gesù vuole trasmettere non solo ai suoi discepoli intimi, ma anche a tutti i suoi ascoltatori, come Egli stesso afferma nella conclusione del suo insegnamento: «Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!». Si tratta quindi di un invito da parte di Cristo, insistente ed universale (rivolto «a tutti»), ad avere un atteggiamento sapiente nell’attesa del Suo ritorno, come quello di ogni servo che attende il ritorno certo del suo padrone. È un vegliare non passivo ma attivo, come Gesù stesso chiede ripetendo il verbo “fare” («Fate attenzione» e «fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati»).

Pertanto, abbiamo qui la raccomandazione centrale che Gesù lascia ai discepoli non solo per oggi o per questo tempo di Avvento, ma anche per tutta la loro vita. L’esortazione di Gesù di vegliare risuona anche altrove nei Vangeli, in particolare in Mt 24,42 e 25,13, alla fine della parabola delle dieci vergini, che avevamo ascoltato poche settimane fa! Ciò fa intravedere l’importanza di questo insegnamento, che viene collegato alla raccomandazione di pregare (cf. Lc 21,36: «Vegliate in ogni momento pregando») e trasmesso dopo dagli apostoli alle prime comunità cristiane (cf. Ef 6,18; Col 4,2; 1Pt 5,8). In questo modo, la triplice esortazione di Gesù “vegliate, vegliate, vegliate” si collega intrinsecamente con quella di “pregate, pregate, pregate” (proprio come la raccomandazione della Madonna di Fatima!). Il pregare è l’espressione concreta e caratteristica del vegliare cristiano e, di conseguenza, il richiamo di oggi all’atteggiamento di vegliare per i discepoli di Cristo sarà anche un invito a intensificare e rinnovare la loro vita di preghiera. Tale invito acquisisce un particolare significato, quando stiamo per passare al nuovo anno 2024, dedicato, per volere di Papa Francesco, proprio alla preghiera in preparazione al Giubileo 2025.

3. Vegliare-pregare-testimoniare Cristo

Infine, va rilevato che nel contesto dell’attesa cristiana del ritorno di Cristo, la seconda lettura dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi ci ricorda la prospettiva importante della testimonianza della salda fede in Cristo. In effetti, ai cristiani di Corinto che aspettavano «la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo», l’apostolo loda per «la testimonianza di Cristo» stabilita «così saldamente che non manca più alcun carisma» in loro. D’altra parte, egli esprime l’auspicio e la convinzione che Cristo stesso li «renderà saldi sino alla fine, irreprensibili» in quel giorno dell’incontro con Lui. Così, i corinzi sono diventati i vivi canali che trasmettevano con la loro vita di fede la testimonianza di Cristo che loro stessi avevano ricevuto. Diventano i testimoni viventi del Signore nel vegliare, nel pregare, nel vivere la fede. Inoltre, va sottolineato che san Paolo stesso, a proposito di vegliare e pregare, ha voluto chiedere esplicitamente ai cristiani una preghiera particolare per l’opera di evangelizzazione che egli stava compiendo:

In ogni occasione, pregate con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, e a questo scopo vegliate con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi.  E pregate anche per me, affinché, quando apro la bocca, mi sia data la parola, per far conoscere con franchezza il mistero del Vangelo, per il quale sono ambasciatore in catene, e affinché io possa annunciarlo con quel coraggio con il quale devo parlare. (Ef 6,18-20)

In quest’ottica, anche noi cristiani di oggi siamo chiamati non solo a vegliare e pregare in questo tempo particolare, ma anche a testimoniare, cioè a trasmettere la testimonianza di Cristo a tutti coloro che sono intorno a noi. Inoltre, nel nostro vegliare e pregare, ricordiamo anche e in modo speciale i missionari e le missionarie di Cristo oggi, quelli che, come san Paolo apostolo e San Francesco Saverio, di cui oggi celebriamo la festa, hanno dedicato tutta la vita all’annuncio di Cristo in tutto il mondo «per far conoscere con franchezza il mistero del Vangelo». Così, ci sosteniamo a vicenda nella fede e nella testimonianza e formiamo insieme la comunione dei discepoli-missionari di Cristo per continuare la sua missione evangelizzatrice nel mondo donec veniat “finché Egli venga”. Amen. Maranathà!

 

Spunti utili:

Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio Omiletico, 86

«Naturalmente l’Eucaristia che ci disponiamo a celebrare è la più intensa preparazione della comunità alla venuta del Signore, poiché essa stessa ne segna la venuta. Nel prefazio che apre la Preghiera eucaristica in questa Domenica, la comunità si presenta a Dio come “vigilante nell’attesa”. Noi che rendiamo grazie, già oggi chiediamo di poter cantare con tutti gli angeli: “Santo, Santo, Santo, il Signore Dio dell’universo”. Nell’acclamare il “Mistero della fede” esprimiamo lo stesso spirito di vigile attesa: “Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice, annunziamo la tua morte, Signore, nell’attesa della tua venuta”. Nella Preghiera eucaristica i cieli si aprono e Dio discende. Oggi riceviamo il Corpo e il Sangue del Figlio dell’Uomo che arriverà sulle nubi con grande potenza e gloria. Con la sua grazia, elargita nella santa Comunione, c’è da sperare che ciascuno di noi possa esclamare: “Mi risolleverò e alzerò il capo, perché la mia liberazione è vicina”».

Catechismo della Chiesa Cattolica

672 Prima dell'ascensione Cristo ha affermato che non era ancora giunto il momento del costituirsi glorioso del regno messianico atteso da Israele, regno che doveva portare a tutti gli uomini, secondo i profeti, l'ordine definitivo della giustizia, dell'amore e della pace. Il tempo presente è, secondo il Signore, il tempo dello Spirito e della testimonianza, ma anche un tempo ancora segnato dalla necessità e dalla prova del male, che non risparmia la Chiesa e inaugura i combattimenti degli ultimi tempi. È un tempo di attesa e di vigilanza.

673 Dopo l'ascensione, la venuta di Cristo nella gloria è imminente, anche se non spetta a noi «conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta» (At 1,7). Questa venuta escatologica può compiersi in qualsiasi momento anche se essa e la prova finale che la precederà sono «impedite».

1130 La Chiesa celebra il mistero del suo Signore «finché egli venga» (1 Cor 11,26) e «Dio sia tutto in tutti» (1 Cor 15,28). Dall'età apostolica la liturgia è attirata verso il suo fine dal gemito dello Spirito nella Chiesa: «Marana tha!» (1 Cor 16,22). La liturgia condivide così il desiderio di Gesù: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, [...] finché essa non si compia nel regno di Dio» (Lc 22,15-16). Nei sacramenti di Cristo la Chiesa già riceve la caparra della sua eredità, già partecipa alla vita eterna, pur «nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo» (Tt 2,13). «Lo Spirito e la Sposa dicono: "Vieni!" [...]. Vieni, Signore Gesù!» (Ap 22,17.20).