II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia (Anno B)

07 aprile 2024

At 4,32-35;
Sal 117;
1Gv 5,1-6;
Gv 20,19-31

Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre

COMMENTO BIBLICO-MISSIONARIO

Risorgere per la Missione: La Missione dell’Inviato e degli inviati

«Pace a voi!» Sono queste le prime parole di Gesù «la sera di quel giorno, il primo della settimana». Egli apparve ai suoi discepoli per la prima volta nello stesso giorno della risurrezione, come ci racconta il Vangelo di Giovanni oggi. Sempre secondo il brano evangelico ascoltato, il Risorto ha salutato i suoi discepoli «otto giorni dopo» con le stesse parole, quando apparve a loro la seconda volta nello stesso luogo. Questo «Pace a voi!» diventa così il segno caratteristico che, come visto anche dagli altri vangeli, accomuna le apparizioni del Risorto e le unisce tutte in modo misterioso e mistico in un unico grande Evento-Mistero Pasquale che i primi apostoli hanno vissuto nel periodo da quel memorabile “primo giorno” fino al ritorno definitivo di Gesù al Padre. Così, un’apparizione si ripete, si collega e si completa con l’altra. Si tratta dei giorni intensi in cui il Cristo risorto ha comunicato/donato ai suoi discepoli le “primizie” della risurrezione, guidandoli nell’ultima preparazione per la loro missione e tutto questo pazientemente, soprattutto con i dubbiosi e i “duri di cuore”, come i due di Emmaus o Tommaso Didimo!

È stato un tempo di intensa “formazione missionaria” per i primi discepoli, e così sarà anche per noi, i suoi discepoli di oggi, chiamati a vivere sempre più intensamente e profondamente il Mistero Pasquale ogni giorno di questo periodo, particolarmente ogni domenica, vale a dire ogni “ottavo giorno”, “giorno del Signore”. Il Tempo Pasquale perciò risulta ancora più forte di quello della Quaresima, e così va vissuto nella vita e nelle celebrazioni liturgiche con l’enorme ricchezza delle orazioni e delle letture bibliche, con cui il Cristo risorto, e quindi vivente, vuole parlare ancora al cuore dei suoi discepoli per prepararli di nuovo alla missione.

In tale contesto formativo missionario, ogni frase e azione del Risorto sono di importanza fondamentale. Lasciando ben volentieri ai lettori/ascoltatori attenti il piacere di approfondire tutti gli aspetti interessanti delle letture e del vangelo di oggi, mi soffermo solo su tre punti partendo dalle parole e i gesti di Gesù nella sua prima apparizione ai discepoli.

1. «Pace a voi!»

È il primo dono, anzi quello supremo, del Risorto che lo comunica/trasmette con la sua presenza ai suoi discepoli. Pur assomigliando a un saluto ordinario per quella cultura, questo è in realtà l’annuncio del compimento della missione, acclamata durante il suo ingresso solenne a Gerusalemme prima della Passione (che abbiamo celebrato e meditato nella Domenica delle Palme). Dove c’è il Risorto, regna la sua pace, quel shalom dono del Messia che indica la vita con e in Dio, fonte di ogni felicità, benessere, gioia. Ora tutto è davvero compiuto con e nella presenza di Cristo, il quale del resto aveva confidato ai suoi discepoli come un testamento durante l’Ultima Cena prima della sua Passione e morte: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Gv 14,27). Così, adesso, ai suoi discepoli radunati nel luogo a porte chiuse «per timore dei Giudei», come sottolineato nel brano evangelico, Gesù ribadisce il dono: «Pace a voi», così che «Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore». La pace messianica comincia da quella interiore del cuore che il Risorto dona ora ai suoi discepoli, affinché loro possano trasmetterla agli altri.

In questa prospettiva di compimento, non a caso proprio dopo il dono della pace, il Risorto mostra ai discepoli i segni della Passione: «Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco». Ciò sembra suggerire che queste ferite di Gesù non sono solo prove per riconoscere la sua identità, ma anche indicazione o dimostrazione dei “mezzi”, anzi del “prezzo” con cui Egli ha “acquistato” la pace da donare ora ai suoi. «Per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,5), e ritroviamo la pace in Dio. Sono segni della missione messianica compiuta nell’amore e fedeltà, e rimarranno tali per l’eternità, secondo la sapienza di Dio, nel suo corpo glorioso. Sono per sempre segni dell’Amore e della Misericordia divina in missione!

Che il dono della pace del Risorto sia fondamentale per la missione, lo vediamo proprio dal fatto che Cristo ha ripetuto l’augurio prima dell’annuncio dell’invio dei discepoli da parte sua: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Proprio qui si vede che il saluto di pace non è un semplice saluto iniziale: il mandato missionario viene dopo il dono della pace. Per ogni discepolo quindi, sarà sempre utile, anzi necessario, accogliere la pace del Risorto come dono della comunione con Lui, e vivere con e in essa, per svolgere quella missione affidata da Lui. Questa pace del Risorto sarà per il discepolo missionario la forza interiore nelle debolezze umane e nelle avversità. Anzi, il rilancio della missione parte dal ritorno alla pace e dalla comunione intima con il Signore. Quanto affermato sembra banale e scontato, ma risulta importantissimo non trascurarlo o sottovalutarlo, soprattutto di fronte al ritmo frenetico della vita moderna e alle persecuzioni. Vale poi soprattutto in questo Tempo Pasquale, in cui il Risorto vuole ancora una volta comunicare a tutti i suoi discepoli la sua pace, insieme con gli altri doni della sua risurrezione.

2. «…Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi»

Donando la sua pace, il Risorto dichiara solennemente il mandato missionario ai suoi discepoli con un’affermazione teologicamente profonda: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Da un lato, emerge qui chiaramente la bella catena della missione: Padre – Figlio – discepoli. La missione dei discepoli perciò continua quella del Figlio e la riflette. Tant’è vero che, negli Atti degli apostoli, le attività di Pietro e la reazione della gente sono descritte proprio come quelle di Gesù nei vangeli: «portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro. Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti impuri, e tutti venivano guariti» (At 5,15-16).

D’altro lato, con le parole “come… (così) anche” si mette in risalto un paragone vertiginoso: la missione divina che Cristo ha compiuto passa ora ai discepoli che saranno gli inviati plenipotenziari del Figlio, come il Figlio era l’inviato esclusivo su cui il Padre aveva “messo il suo sigillo” (cf. Gv 6,27; 1,18). L’invio degli apostoli da parte del Cristo risorto trova il suo modello e la sua ragion d’essere nell’invio del Figlio da parte del Padre: questo è un pensiero originale del vangelo di Giovanni, come ha notato con autorevolezza l’esegeta R. Brown. Come il Figlio è il volto e l’immagine del Padre, così i suoi discepoli missionari ora rappresentano, anzi raffigurano il Figlio che li invia. Per questo, Gesù stesso aveva dichiarato solennemente ai suoi discepoli nel suo discorso di addio durante l’Ultima Cena: «In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato» (Gv 13,20).

Si tratta di un punto fondamentale della shaliah (invio) ebraica, secondo cui l’inviato ha tutto il “potere” di chi lo invia, perché l’inviato e l’inviante sono un’unica realtà giuridica, che nel caso di Gesù si avvera anche sul piano esistenziale: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30). Perciò, compiendo la missione affidatagli dal Padre, Gesù annuncia: «Chi vede me, vede colui che mi ha mandato. (…) Io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire» (Gv 12,45.49).

Così, adesso, quanto detto riguardo all’unione fedele di Cristo con il Padre che lo ha inviato sarà la misura ultima per ogni discepolo missionario. In altre parole, i discepoli inviati ora da Gesù dovranno far sì che ognuno possa vedere Gesù in loro, come sottolineato già dall’autorevole esegeta R. Brown. Essi dovranno trasmettere fedelmente agli altri tutte le parole del Maestro, così che tutti possano sentire e sperimentare Gesù stesso in loro. Ecco l’essenza altissima della vocazione di ogni discepolo missionario di Cristo, chiamato a essere un riflesso fedele di Cristo nel mondo, anzi un Cristo redivivo, un alter Christus, secondo l’espressione mistica e ispirata di san Paolo apostolo: «Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,19b-20a). E quanto descritto da san Paolo come stile di vita per gli apostoli-inviati della sua generazione sarà il compito primario di ogni discepolo missionario di ogni tempo: «Portando [noi] sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo» (2Cor 4,10). È l’altissimo onore, che i discepoli inviati da Gesù stesso hanno, di renderlo manifesto, proprio come Lui, inviato dal Padre, ha fatto conoscere il Padre.

3. Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo!»

Come suggerito dal contesto e dalla frase di congiunzione (“detto questo”), la proclamazione dell’invio dei discepoli è collegata intrinsecamente con l’azione di Gesù di soffiare su di loro, donandogli lo Spirito Santo, che risulta così lo Spirito del Risorto, lo Spirito di Gesù stesso. Assistiamo qui alla scena, che possiamo chiamare con alcuni studiosi la “Pentecoste giovannea”, che segna appunto l’effusione dello Spirito Santo sui discepoli. Questa “Pentecoste” nel vangelo di Giovanni richiama e si collega a quella descritta negli Atti degli Apostoli, che però accade a cinquanta giorni dalla Pasqua. Anche qui, come per la risurrezione e le apparizioni del Risorto, si tratta delle varie manifestazioni di un unico “Mistero divino, che in quanto tale rimane sempre inafferrabile per la mente umana”, come sottolineato nel commento precedente. Senza entrare troppo nelle considerazioni esegetico-teologiche sul tema, ci soffermiamo solo su alcuni punti più importanti sul piano spirituale.

Malgrado la differenza temporale a causa delle differenti impostazioni dei singoli autori sacri, i due eventi in realtà sottolineano un’unica verità teologica fondamentale: lo Spirito Santo è il dono del Risorto ai suoi discepoli inviati da Lui nel mondo. Quanto descritto qui nella “Pentecoste giovannea” riflette in realtà il contenuto dell’annuncio di Cristo ai discepoli prima di ascendere al Padre negli Atti degli Apostoli: «Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni (…) fino ai confini della terra» (At 1,8). E questo annuncio si compie nella Pentecoste. (A margine, raccomando vivamente di leggere il Messaggio di Papa Francesco per la Giornata missionaria mondiale di quest’anno 2022, che riflette proprio sulla frase riportata di At 1,8).

Nella sua sensibilità teologico-spirituale, san Giovanni evangelista mette l’effusione dello Spirito Santo nello stesso primo giorno della risurrezione per esaltare l’importanza dell’evento e del dono, come pure per rimarcare con più forza il nesso intrinseco tra la risurrezione di Cristo e il dono dello Spirito, tra il Cristo risorto e lo Spirito donato ai discepoli inviati da Cristo alla missione. Di più, l’azione di Gesù di soffiare o emettere il suo alito sui discepoli richiama quello di Dio nella creazione del primo uomo, plasmato dalla terra (cf. Gen 2,7: Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente). Abbiamo quindi con il Risorto la scena della nuova creazione dell’uomo o della creazione dell’uomo nuovo. I discepoli diventano uomini nuovi che portano in sé lo Spirito del Risorto per condividerlo con gli altri, rendendoli così nuovi nello Spirito che purifica dai peccati. Ecco il perché qui, nella “Pentecoste” giovannea, il Risorto collega il dono dello Spirito con il potere di rimettere i peccati: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». La formulazione in positivo e in negativo esprime il carattere esclusivo della remissione dei peccati nello Spirito affidata ora ai discepoli, chiamati a svolgere la missione, quella della Divina Misericordia, proprio come Cristo. Tutto ciò allude alla realtà del battesimo nell’acqua e nello Spirito per la remissione dei peccati. Questo messaggio evangelico, quindi, appare del tutto appropriato per celebrare sia la Domenica della Divina Misericordia sia, più tradizionalmente, quella della Dominica in albis “Domenica in bianchi [vestiti]” per i neo battezzati a Pasqua, per segnare il culmine di una settimana di ringraziamento per la grazia del Battesimo ricevuto.

Si sottolinea, infine, il compimento delle stesse promesse di Cristo ai discepoli prima della Passione riguardo allo Spirito Santo e alla missione dei discepoli. Proprio lo Spirito è donato ai discepoli per renderli capaci di continuare la stessa missione di Gesù e come Gesù. Si tratta di quanto affermato da Gesù durante l’Ultima Cena: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15,16). Tale “costituzione” apostolico-missionaria si realizza con e nello Spirito che Gesù comunica ai discepoli dopo la risurrezione. Sarà quindi importante per noi, discepoli missionari di oggi, lasciare che il Risorto misticamente soffi su di noi il suo Spirito in questo Tempo Pasquale, in cui si attua per noi ancora il Mistero della risurrezione di Cristo. Riascoltiamo le parole fondamentali di Papa Francesco nell’accennato Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2022:

Come «nessuno può dire: “Gesù è Signore”, se non sotto l’azione dello Spirito Santo» (1Cor 12,3), così nessun cristiano potrà dare testimonianza piena e genuina di Cristo Signore senza l’ispirazione e l’aiuto dello Spirito. Perciò ogni discepolo missionario di Cristo è chiamato a riconoscere l’importanza fondamentale dell’agire dello Spirito, a vivere con Lui nel quotidiano e a ricevere costantemente forza e ispirazione da Lui. Anzi, proprio quando ci sentiamo stanchi, demotivati, smarriti, ricordiamoci di ricorrere allo Spirito Santo nella preghiera, la quale – voglio sottolineare ancora – ha un ruolo fondamentale nella vita missionaria, per lasciarci ristorare e fortificare da Lui, sorgente divina inesauribile di nuove energie e della gioia di condividere con gli altri la vita di Cristo.