IV Domenica del Tempo di Quaresima (Anno B)

08 marzo 2024

2Cr 36,14-16.19-23;
Sal 136;
Ef 2,4-10;
Gv 3,14-21

COMMENTO BIBLICO-MISSIONARIO

La gioia del Vangelo-Luce nelle tenebre

«La IV Domenica di Quaresima è soffusa di luce, una luce evidenziata in questa Domenica “Laetare” [“Rallègrati!”] dalle vesti liturgiche di sfumatura più chiara e dai fiori che adornano la chiesa» (Direttorio omiletico n.73). In tale contesto di gioia per “la Pasqua ormai vicina”, abbiamo ascoltato un brano particolare del Vangelo che contiene, nel contesto della lunga conversazione con il capo-fariseo Nicodemo, l’annuncio fondamentale di Gesù sulla missione di Dio per l’umanità: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna». Questa dichiarazione viene giustamente chiamata dai biblisti il Vangelo di Giovanni in miniatura, perché riassume tutto il messaggio teologico-spirituale che l’evangelista Giovanni vuole trasmettere nella sua opera. Similmente, la frase potrà essere considerata come il fulcro di tutte le Scritture divine, di tutta la rivelazione di Dio in parole ed azioni per la salvezza dell’uomo. Non a caso Papa Francesco la cita per intera ancora nel Messaggio per la Giornata missionaria mondiale di quest’anno, quando ricorda con autorità l’essenza della missione di Dio. Perciò, anche le letture liturgiche odierne trovano eco e culmine in questa rivelazione che ci occorre approfondire, purtroppo solo di sfuggita perché ci sarebbero tante cose da dire. Prestiamo tuttavia una particolare attenzione, coinvolgendo non solo la mente ma anche il cuore nella lettura del messaggio di Dio, trattando delle tre componenti costitutive della dichiarazione: l’amore di Dio, la missione del Figlio, e la vita eterna dei credenti.

1. «Dio infatti ha tanto amato il mondo»

L’annuncio di Gesù a Nicodemo parte con questa dichiarazione di amore di Dio. La frase si collega all’affermazione lapidaria “Dio è l’amore” nella prima lettera di san Giovanni (1Gv 4,8.16) che sant’Agostino descrisse come l’essenza di tutta la Bibbia tramite una sua originale e colorita spiegazione. Se ci fosse sulla terra un grande cataclisma, un incendio universale che distruggesse tutte le copie della Bibbia tranne una sola pagina, in cui tutte le righe comunque fossero danneggiate e illeggibili tranne tre parole “Dio è l’amore”, tutto il contenuto della Bibbia sarebbe salvato!

Il verbo “amare” per Dio, in originale greco è proprio agapao, che corrisponde al livello più alto, più sublime, più intimo dell’amore. Esso coinvolge tutto l’essere di Dio che ama fino al punto di poter cantare sempre le parole divine commoventi tramite il profeta Geremia «Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà» (Ger 31,3), o anche le bellissime parole umane (perché no?) di una celebre canzone d’amore moderna (in italiano-napoletano): “Te voglio bene assaje / Ma tanto tanto bene sai / È una catena ormai / E scioglie il sangue dint’ ‘e vene sai” (Canzone Caruso di Lucio Dalla). Inoltre, nel contesto dell’intera frase evangelica, questo “amare” sottolinea non solo il sentimento interiore, un feeling dal profondo del cuore, ma anche l’azione concreta del sacrificio supremo di “dare il Figlio unigenito”, indipendentemente dal fatto che gli “amati” siano degni o meno, pronti o meno, grati o meno, di tale amore divino. Si tratta di un amore attivo e fattivo, “non a parole né con la lingua”, ma “con i fatti e nella verità”, per usare l’espressione che san Giovanni stesso ha usato nella raccomandazione del vero amore tra i cristiani, proprio sull’esempio di Dio (cf. 1Gv 3,18: «Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità»).

L’oggetto dell’amore di Dio qui è il mondo. Questo termine si riferisce all’umanità intera e probabilmente a tutto l’universo creato da Dio. Va richiamato l’uso dello stesso termine nel Vangelo di Giovanni per descrivere quella parte del mondo/umanità che purtroppo rifiuta Gesù come inviato Figlio-Verbo di Dio. Tale “dramma” viene già annunciato fin dal Prologo: «Egli era nel mondo, il mondo è stato fatto per mezzo di lui, ma il mondo non l’ha riconosciuto» (Gv 1,10). Ma anche in questa situazione e con vari possibili significati del termine mondo, qui emerge dominante quel “tanto” amore di Dio in Cristo come la luce, che promana anche nelle tenebre malgrado che queste la rifiutano.

«In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amareDio, ma ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.» (1Gv 4,9-10).

2. «Il Figlio unigenito» mandato e donato

L’amore fattivo di Dio per il mondo lo spinge a “dare” il suo Figlio unigenito. In questo “dare” è incluso non solo il mistero dell’incarnazione di Cristo-Verbo eterno del Padre, ma anche e soprattutto quello del suo sacrificio della vita sulla croce menzionato con l’immagine suggestiva e profonda dell’azione di essere innalzato in Gv 3,15 (cioè, immediatamente prima della dichiarazione di Gv 3,16 che stiamo analizzando): «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3,15). Questo riassume tutta la missione del Figlio di Dio che nello stesso tempo è Figlio dell’uomo, secondo il piano di Dio Padre.

A proposito della frase, per chi si sente a disagio con il parallelo poco elegante di Cristo-Figlio dell’uomo con la figura poco simpatica (teologicamente) del serpente, occorre chiarire che il paragone non riguarda queste due figure, bensì l’azione di essere innalzato. In altre parole, la struttura “come... così” qui non vuole implicare che Cristo è come il serpente (che è certamente bruttino!), bensì Cristo è innalzato, proprio come il serpente in bronzo di Mosè.

Inoltre, san Giovanni evangelista usa qui il termine innalzamento intenzionalmente nella sua molteplice sfumatura per Gesù. Si riferisce sì all’evento della crocifissione, ma che alla risurrezione e ascensione, quando Gesù è innalzato alla gloria di Dio. In questo “innalzamento” unico di Gesù (crocifissione-risurrezione-ascensione) si realizza il dono della vita eterna per “chiunque crede in lui”.

Occorre approfondire ulteriormente quest’atto “strano” di Dio di sacrificare il proprio Figlio per amore del mondo. Si tratta del mistero “misterioso” che viene esaltato anche nel celebre inno Exsultet all’inizio della Veglia pasquale: O mira circa nos tuae pietatis dignatio! O inaestimabilis dilectio caritatis: ut servum redimeres, Filium tradidisti! “O immensità del tuo amore per noi! O inestimabile segno di bontà: per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio!” Questo fatto potrebbe suscitare qualche perplessità a qualcuno: Dio non ha amato il suo Figlio? Non più del mondo? Se dovesse scegliere tra il Figlio e il mondo, Dio chi sceglierebbe? A questo proposito, bisogna chiarire che per salvare l’uomo il Padre non ha offerto il suo Figlio contro la volontà di quest’ultimo. In altre parole, anche il Figlio ha voluto sacrificare se stesso per compiere la volontà del Padre, e perché, come Gesù ha dichiarato: Non sono venuto per fare la mia volontà, ma per fare la volontà del Padre che mi ha mandato. (Va richiamato qui il sottofondo del sacrificio di Isacco da parte di Abramo, suo padre. Secondo la tradizione rabbinica, nel momento del sacrificio da parte di Abramo suo padre, Isacco era già adulto, addirittura di circa 37 anni; sapendo l’intenzione di suo padre di compiere la volontà di Dio, anche Isacco docilmente aderì al piano divino e disse parole commoventi: “Lègami [ebraico Aqedah] Padre”. Sarà questa l’immagine di Gesù il Figlio!

D’altra parte, il Padre è sempre nel Figlio (“Io e il Padre siamo una cosa sola”, rivela Gesù) e perciò, nel sacrificio supremo del Figlio, è il Padre stesso che si sacrifica per la salvezza del mondo. La missione di Dio Padre è la stessa del Figlio Gesù, mandato e donato per tutta l’umanità.

3. «…perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna»

Lo scopo della missione di Dio in Cristo, vale a dire la missione del Padre e del Figlio, per amore dell’umanità è sempre donare la vita eterna a “chiunque crede in lui”. A proposito di questo “chiunque” – destinatario-beneficario della missione divina, ascoltiamo ancora la spiegazione autorevole di Papa Francesco nel suo Messaggio per la Giornata missionaria mondiale di quest’anno 2024 con il tema scelto Andate e invitate al banchetto tutti (cfr Mt 22,9):

I discepoli-missionari di Cristo hanno sempre nel cuore la preoccupazione per tutte le persone di ogni condizione sociale o anche morale. La parabola del banchetto ci dice che, seguendo la raccomandazione del re, i servi radunarono «tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni» (Mt 22,10). Inoltre, proprio «i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi» (Lc 14,21), vale a dire gli ultimi ed emarginati della società, sono gli invitati speciali del re. Così, il banchetto nuziale del Figlio che Dio ha preparato rimane per sempre aperto a tutti, perché grande e incondizionato è il suo amore per ognuno di noi. «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Chiunque, ogni uomo e ogni donna è destinatario dell’invito di Dio a partecipare alla sua grazia che trasforma e salva. Bisogna solo dire “sì” a questo dono divino gratuito, accogliendolo e lasciandosi trasformare da esso, rivestendosene come di una “veste nuziale” (cfr Mt 22,12).

In questa prospettiva, la dichiarazione di Gesù su cui meditiamo oggi sarà anche l’invito a tutti, a “chiunque” sia, a guardare ancora oggi in alto verso Cristo Figlio di Dio, innalzato sulla croce e elevato ora alla destra del Padre per contemplare il “tanto” amore di Dio per noi, affinché ognuno possa dire semplicemente “sì” al dono divino gratuito della vita con e in Dio, «accogliendolo e lasciandosi trasformare da esso, rivestendosene come di una “veste nuziale” (cfr Mt 22,12)». Che Dio doni a tutti noi questa grazia, particolarmente in questo tempo di salvezza! «Svégliati, tu che dormi, / risorgi dai morti [dai peccati] e Cristo ti illuminerà» (Ef 5,14). Amen.

 

Spunti utili:

Papa Francesco, Angelus, Piazza San Pietro, Domenica, 14 marzo 2021

Nicodemo, come ogni membro del popolo d’Israele, attendeva il Messia, indentificandolo in un uomo forte che avrebbe giudicato il mondo con potenza. Gesù invece mette in crisi questa aspettativa presentandosi sotto tre aspetti: quello del Figlio dell’uomo esaltato sulla croce; quello del Figlio di Dio mandato nel mondo per la salvezza; e quello della luce che distingue chi segue la verità da chi segue la menzogna. Vediamo questi tre aspetti: Figlio dell’uomo, Figlio di Dio e luce.

Gesù si presenta anzitutto il Figlio dell’uomo (vv. 14-15). Il testo allude al racconto del serpente di bronzo (cfr Nm 21,4-9), che, per volere di Dio, fu innalzato da Mosè nel deserto quando il popolo era stato attaccato dai serpenti velenosi; chi veniva morso e guardava il serpente di bronzo guariva. Analogamente, Gesù è stato innalzato sulla croce e chi crede in Lui viene sanato dal peccato e vive.

Il secondo aspetto è quello di Figlio di Dio (vv.16-18). Dio Padre ama gli uomini al punto da “dare” il suo Figlio: lo ha dato nell’Incarnazione e lo ha dato nel consegnarlo alla morte. Lo scopo del dono di Dio è la vita eterna degli uomini: Dio infatti manda il suo Figlio nel mondo non per condannarlo, ma perché il mondo possa salvarsi per mezzo di Gesù. La missione di Gesù è missione di salvezza, di salvezza per tutti.

Il terzo nome che Gesù si attribuisce è “luce” (vv. 19-21). Dice il Vangelo: «La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce» (v. 19). La venuta di Gesù nel mondo provoca una scelta: chi sceglie le tenebre va incontro a un giudizio di condanna, chi sceglie la luce avrà un giudizio di salvezza. Il giudizio sempre è la conseguenza della scelta libera di ciascuno: chi pratica il male cerca le tenebre, il male sempre si nasconde, si copre. Chi fa la verità, cioè pratica il bene, viene alla luce, illumina le strade della vita. Chi cammina nella luce, chi si avvicina alla luce, non può fare altro che buone opere. La luce ci porta a fare delle buone opere. È quanto siamo chiamati a fare con più impegno durante la Quaresima: accogliere la luce nella nostra coscienza, per aprire i nostri cuori all’amore infinito di Dio, alla sua misericordia piena di tenerezza e di bontà, al suo perdono.

Catechismo Della Chiesa Cattolica

432 Il nome di Gesù significa che il nome stesso di Dio è presente nella Persona del Figlio suo fatto uomo per l’universale e definitiva redenzione dei peccati. È il nome divino che solo reca la salvezza, e può ormai essere invocato da tutti perché, mediante l’incarnazione, egli si è unito a tutti gli uomini in modo tale che «non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12).

604 Nel consegnare suo Figlio per i nostri peccati, Dio manifesta che il suo disegno su di noi è un disegno di amore benevolo che precede ogni merito da parte nostra: «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1 Gv 4,10). «Dio dimostra il suo amore verso di noi, perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8).

606 Il Figlio di Dio disceso dal cielo non per fare la sua volontà ma quella di colui che l’ha mandato, «entrando nel mondo dice: [...] Ecco, io vengo [...] per fare, o Dio, la tua volontà. [...] Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre» (Eb 10,5-10). Dal primo istante della sua incarnazione, il Figlio abbraccia nella sua missione redentrice il disegno divino di salvezza: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4,34). Il sacrificio di Gesù «per i peccati di tutto il mondo» (1 Gv 2,2) è l’espressione della sua comunione d’amore con il Padre: «Il Padre mi ama perché io offro la mia vita» (Gv 10,17). «Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato» (Gv 14,31).

609 Accogliendo nel suo cuore umano l’amore del Padre per gli uomini, Gesù «li amò sino alla fine» (Gv 13,1), «perché nessuno ha un amore più grande di questo: dare la propria vita per i propri amici» (Gv 15,13). Così nella sofferenza e nella morte la sua umanità è diventata lo strumento libero e perfetto del suo amore divino che vuole la salvezza degli uomini. Infatti, egli ha liberamente accettato la sua passione e la sua morte per amore del Padre suo e degli uomini che il Padre vuole salvare: «Nessuno mi toglie [la vita], ma la offro da me stesso» (Gv 10,18). Di qui la sovrana libertà del Figlio di Dio quando va liberamente verso la morte.