V Domenica del Tempo di Quaresima (Anno B)

15 marzo 2024

Ger 31,31-34;
Sal 50;
Eb 5,7-9;
Gv 12,20-33

COMMENTO BIBLICO-MISSIONARIO

Portare la gente a Gesù, l’innalzato che attira tutti a sé

In questa quinta domenica della Quaresima si entra nella fase finale dell’itinerario quaresimale. È effettivamente l’ultima domenica “ordinaria” della Quaresima, perché la prossima sarà già quella delle Palme e l’inizio della Settimana Santa, che culmina con il Triduo pasquale. Si intravede quindi già all’orizzonte la Pasqua che etimologicamente significa il passaggio, quello di Cristo dalla morte alla vita, dal mondo al Padre, con il trionfo sulla morte e i peccati. In tale contesto liturgico e temporale, dopo aver contemplato, la settimana scorsa, l’eccelso mistero di Dio-Amore che dona il Figlio innalzato per la vita dell’umanità, oggi siamo invitati ad approfondire, tramite il Vangelo appena proclamato, gli aspetti fondamentali della missione di innalzamento di Gesù, per cui è giunta l’ora, come Egli stesso ha dichiarato solennemente e pubblicamente. Tale approfondimento non solo ci aiuterà a (ri)scoprire il significato recondito della passione e risurrezione di Gesù per prepararci alla prossima Settimana Santa, ma anche farci (ri)vedere la nostra stessa vocazione di cristiani, cioè discepoli di Cristo, chiamati a seguire il Maestro-Signore e collaborare nella sua missione. Ciò emerge da tre immagini nel brano evangelico ascoltato: il discepolo Filippo, il seme caduto in terra, e il Figlio innalzato che attira tutti.

1. Il discepolo Filippo e i “Greci” desiderosi di vedere Gesù

I “Greci” che presentavano a Filippo la richiesta di vedere Gesù sembrano quei non-Israeliti, “gentili”, che si convertirono al giudaismo, dato che «erano saliti per il culto» al Tempio di Gerusalemme per la Pasqua, la “festa” per eccellenza. La menzione di Filippo qui fa intravedere l’importanza di questa figura tra i discepoli più intimi di Gesù. In effetti, nel Vangelo di Giovanni, questo discepolo fu il primo chiamato da Gesù con un esplicito invito-comando “Seguimi!”. Successivamente, è stato Filippo a portare a Gesù il suo amico Natanaele, condividendo così con quest’ultimo la gioia della scoperta del Messia di persona (Gv 1,43-45). Gesù conversava con Filippo nell’episodio della moltiplicazione del pane, domandando sulla necessità di affamare la gente che Lo seguiva. Curiosamente, in quella circostanza, appariva anche il discepolo Andrea accanto a Filippo, proprio come nel racconto evangelico odierno, che fa vedere Filippo che va da Andrea e questi due vanno a presentare insieme a Gesù la richiesta dei Greci. Sarà Filippo durante l’Ultima Cena a chiedere a Gesù di mostrare il Padre; ciò ha “provocato” un rimprovero di Gesù («Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?» Gv 14,9a) e la rivelazione di una verità vertiginosa da “vedere” con gli occhi della fede: «Chi ha visto me, ha visto il Padre. (…) io sono nel Padre e il Padre è in me» (Gv 14,9b-11).

Alla luce di tutto ciò, possiamo intravedere in Filippo la figura particolare, anzi la figura tipo di discepolo-missionario di Cristo a cui la tradizione cristiana antica, come visto nel Vangelo di Giovanni, ha riservato una memoria ed onore speciali. Questo discepolo-tipo, da un lato, stava in costante comunione con Gesù per crescere sempre nella conoscenza del suo Maestro e Signore, malgrado tutti i suoi limiti e distrazioni. Dall’altro, egli portava a Gesù i suoi amici e conoscenti, come i “Greci” nel nostro brano, aiutandoli a incontrare e ascoltare personalmente il Signore-Maestro che parla al cuore di tutti, rivelando sempre di più gli aspetti reconditi della vita divina.

2. Il seme caduto in terra e la sua “ora”

Ascoltando la richiesta dei Greci tramite Filippo ed Andrea, la risposta di Gesù è stata un po’ strana, se non addirittura fuori luogo. Ma lo era solo apparentemente. In realtà, senza dire né sì né no alla richiesta di vederlo fisicamente, il Signore indica subito la strada, la prospettiva, per vederlo, di guardare oltre ogni apparenza la sua persona, la sua esistenza e missione, in modo più profondo con gli occhi della fede. Questa rivelazione “aperta”, pur nel linguaggio metaforico, viene fatta con una dichiarazione importante sulla venuta della sua ora, mai fatta prima nel ministero pubblico di Gesù: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato».

Questa sua ora è quella della glorificazione, processo simile a quello che affronta un seme caduto in terra, come Gesù specifica in seguito in modo solenne, con il duplice Amen-Amen iniziale (In verità, in verità), proprio del suo stile: «In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto». Si tratta di un’immagine bellissima e comprensibile, perché viene tratta dalla vita quotidiana e parla di una verità universale che anche un contadino vietnamita capisce. Non c’è bisogno perciò di spiegazioni; occorre solo gustare e contemplare dietro tale immagine la verità profonda sul destino-missione, in questa terra, di Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. Questa poi, come Gesù stesso rivela successivamente, sarà anche la vocazione di ogni suo discepolo: il coraggio di perdere (“odiare” nel linguaggio semitico) la propria vita (per Dio) per avere la vita divina. Abbiamo qui l’affermazione attestata anche nelle altre tradizioni dei Vangeli; ciò riflette con molta probabilità un pensiero molto caro a Gesù che lo ha scolpito nella mente dei primi discepoli.

Si tratta sicuramente di una vocazione non facile, quella di morire per produrre molto frutto. Non è stato un momento senza tentazione e lotta interna per Gesù che si sentiva “turbato” nell’anima in quell’istante, riflesso di quanto accadrà al Getsemani secondo il racconto degli altri Vangeli. Tuttavia, l’amore reciproco tra Gesù e il Padre e quindi la loro intima unione erano la forza per Gesù di accettare quest’ora con obbedienza e fiducia filiale, dichiarando coraggiosamente: «proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome!». Quest’ultima richiesta di Gesù riflette curiosamente l’inizio della preghiera del Padre nostro che Egli ha raccomandato ai suoi discepoli: Padre [nostro], sia santificato il tuo nome (tant’è vero che alcuni biblisti ritengono che Gesù ha cominciato qui il Padre nostro e poi venne interrotto dalla voce del Padre dal cielo!). Così, il Padre nostro che recitiamo, quell’unica preghiera che Gesù ha lasciato ai discepoli, sarà magari per loro misticamente sempre la preghiera di e in quell’”ora”- culmine della missione di offrirsi per amore per la vita dell’umanità, in unione con il Cristo Signore.

3. «…E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me»

Per Gesù, l’ora del sacrificio supremo della propria vita sarà quella della glorificazione divina, vale a dire rendere manifesta la gloria di Dio quando si rivela la sua essenza grande nell’amore e ricca di misericordia per l’umanità. È l’ora della nuova alleanza tra Dio e il suo popolo, nella quale Dio perdona i loro peccati, come profetizzato da Geremia (seconda lettura). Con tale potenza dell’amore, Dio attira tutti a sé in Cristo, innalzato da terra, secondo quanto dichiarato in Ger 31,3 «Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà» (su cui abbiamo riflettuto nel commento precedente).

In questa prospettiva, i discepoli sono chiamati a unirsi con Cristo nella loro vita, per lasciarlo vivere in loro e attrarre tutti tramite loro. Hanno il “destino” di essere “innalzati da terra” per e nell’amore, come il loro Maestro e Signore. In effetti, come Cristo è il seme caduto in terra che muore per produrre molto frutto, così Egli ha indicato ai suoi discepoli la stessa vocazione eccelsa: «Io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15,16). E come Cristo innalzato da terra attira tutti a Lui con la potenza misteriosa dell’amore divino, anche i suoi discepoli sono inviati a promanare tale forza di attrazione a tutti, attraverso il loro sacrificio della vita.

Siamo invitati allora, in quest’ultima fase della Quaresima, a riscoprire e proseguire il nostro cammino da discepoli-missionari di Cristo, anche sull’esempio dell’apostolo Filippo, venerando così degnamente con i primi cristiani questa figura prominente del Cristianesimo. Le sue reliquie sono venerate particolarmente, insieme a quelle di Giacomo minore, nella Basilica dei santi apostoli a Roma. (Scrivo queste righe con tanta emozione e gratitudine al Signore per la grazia di abitare adesso proprio nel nostro Convento francescano accanto a questa Basilica. Auguro a tutti di avere l’opportunità di venire qui in pellegrinaggio per venerare l’apostolo Filippo e tutti gli apostoli, rinnovando, tramite la loro intercessione, il nostro zelo apostolico nella nostra vita da discepoli-missionari di Cristo). San Filippo e tutti gli apostoli di Cristo, pregate per noi! Amen.

 

Spunti utili:

Benedetto XVI, Udienza Generale del 6 settembre 2006: Filippo

In un altro momento, molto importante per la storia futura, prima della Passione, alcuni Greci che si trovavano a Gerusalemme per la Pasqua “si avvicinarono a Filippo ... e gli chiesero: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù” (Gv 12,20-22). Ancora una volta, abbiamo l’indizio di un suo particolare prestigio all’interno del collegio apostolico. Soprattutto, in questo caso, egli fa da intermediario tra la richiesta di alcuni Greci – probabilmente parlava il greco e poté prestarsi come interprete – e Gesù; anche se egli si unisce ad Andrea, l’altro Apostolo con un nome greco, è comunque a lui che quegli estranei si rivolgono. Questo ci insegna ad essere anche noi sempre pronti, sia ad accogliere domande e invocazioni da qualunque parte giungano, sia a orientarle verso il Signore, l’unico che le può soddisfare in pienezza. E’ importante, infatti, sapere che non siamo noi i destinatari ultimi delle preghiere di chi ci avvicina, ma è il Signore: a lui dobbiamo indirizzare chiunque si trovi nella necessità. Ecco: ciascuno di noi dev’essere una strada aperta verso di lui! […]

Vogliamo concludere la nostra riflessione richiamando lo scopo cui deve tendere la nostra vita: incontrare Gesù come lo incontrò Filippo, cercando di vedere in lui Dio stesso, il Padre celeste. Se questo impegno mancasse, verremmo rimandati sempre solo a noi come in uno specchio, e saremmo sempre più soli! Filippo invece ci insegna a lasciarci conquistare da Gesù, a stare con lui, e a invitare anche altri a condividere questa indispensabile compagnia. E vedendo, trovando Dio, trovare la vera vita.

Papa Francesco, Angelus, Biblioteca del Palazzo Apostolico, Domenica, 21 marzo 2021

Mentre Gesù si trovava a Gerusalemme per la festa di pasqua, alcuni greci, incuriositi da quanto Egli andava compiendo, esprimono il desiderio di vederlo. Avvicinatisi all’apostolo Filippo, gli dicono: «Vogliamo vedere Gesù» (v. 21). “Vogliamo vedere Gesù”. Ricordiamo questo desiderio: “Vogliamo vedere Gesù”. Filippo ne parla ad Andrea e poi insieme lo riferiscono al Maestro. […]

E come risponde Gesù a quella richiesta? In un modo che fa pensare. Dice così: «è venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. […] Se il chicco di grano, caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (vv. 23-24). Queste parole sembra che non rispondano alla domanda posta da quei greci. In realtà, esse vanno oltre. Gesù infatti rivela che Lui, per ogni uomo che lo vuole cercare, è il seme nascosto pronto a morire per dare molto frutto. Come a dire: se volete conoscermi, se volete capirmi, guardate il chicco di grano che muore nel terreno, cioè guardate la croce. […]

Anche oggi tante persone, spesso senza dirlo, in modo implicito, vorrebbero “vedere Gesù”, incontrarlo, conoscerlo. Da qui si comprende la grande responsabilità di noi cristiani e delle nostre comunità. Anche noi dobbiamo rispondere con la testimonianza di una vita che si dona nel servizio, di una vita che prenda su di sé lo stile di Dio – vicinanza, compassione e tenerezza – e si dona nel servizio. Si tratta di seminare semi di amore non con parole che volano via, ma con esempi concreti, semplici e coraggiosi, non con condanne teoriche, ma con gesti di amore. Allora il Signore, con la sua grazia, ci fa portare frutto, anche quando il terreno è arido a causa di incomprensioni, difficoltà o persecuzioni, o pretese di legalismi o moralismi clericali. Questo è terreno arido. Proprio allora, nella prova e nella solitudine, mentre il seme muore, è il momento in cui la vita germoglia, per produrre frutti maturi a suo tempo. È in questo intreccio di morte e di vita che possiamo sperimentare la gioia e la vera fecondità dell’amore, che sempre, ripeto, si dà nello stile di Dio: vicinanza, compassione, tenerezza.

Catechismo della Chiesa Cattolica

662 «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). L’elevazione sulla croce significa e annunzia l’elevazione dell’ascensione al cielo. Essa ne è l’inizio. Gesù Cristo, l’unico Sacerdote della nuova ed eterna Alleanza, «non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo [...], ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore» (Eb 9,24). In cielo Cristo esercita il suo sacerdozio in permanenza, «essendo egli sempre vivo per intercedere» a favore di «quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio» (Eb 7,25). Come «sommo Sacerdote dei beni futuri» (Eb 9,11), egli è il centro e l’attore principale della liturgia che onora il Padre nei cieli.