II DOMENICA DEL TEMPO DI QUARESIMA (ANNO B)

28 febbraio 2024

Gn 22,1-2.9a.10-13.15-18;
Sal 115;
Rm 8,31b-34;
Mc 9,2-10

COMMENTO BIBLICO-MISSIONARIO

Lasciarsi guidare, trasfigurare e ammaestrare da Cristo

«Il brano evangelico della II Domenica di Quaresima è sempre il racconto della Trasfigurazione». Rileva così il Direttorio omiletico (n. 64) che spiega ulteriormente con autorevolezza: «La Trasfigurazione occupa un posto fondamentale nel Tempo di Quaresima, poiché l’intero Lezionario quaresimale è una guida che prepara l’eletto tra i catecumeni a ricevere i sacramenti dell’iniziazione nella Veglia Pasquale, così come prepara tutti i fedeli a rinnovarsi nella vita nuova a cui sono rinati. Se la I Domenica di Quaresima è rimando particolarmente efficace alla solidarietà che Gesù condivide con noi nella tentazione, la II Domenica ci ricorda che la gloria sfolgorante del corpo di Gesù è la medesima che egli vuole condividere con tutti i battezzati nella sua morte e risurrezione» (n. 67).

Per accogliere bene il messaggio del Vangelo odierno, occorre soffermarci su alcuni dettagli importanti del racconto.

1. Il contesto della Trasfigurazione nel cammino della missione

Il primo aspetto fondamentale da chiarire sarà il contesto temporale dell’evento (che viene reso nei Lezionari in varie lingue con una nota generica “In quel tempo”). La trasfigurazione di Cristo ha avuto luogo dopo la professione di fede di Pietro (“Tu sei il Cristo”; Mc 8,29; Mt 16,16), seguita immediatamente dal primo annuncio della passione ai discepoli, con il quale Cristo rivela la sua vera missione messianica (Mc 8,31; cf. Mt 16,21; Lc 9,22). Inoltre, con tale rivelazione, Egli invita tutti a seguirLo sulla via della croce e del rinnegamento di sé per salvare la propria vita e stare con il Figlio dell’uomo quando Egli verrà nella gloria del Padre con gli angeli (cf. Mc 8,34-38; Mt 16,24-25; Lc 9,23-24). Così, la trasfigurazione di Cristo non è un episodio isolato per far solo vedere o ammirare “lo spettacolo divino” sul monte, ma si inserisce interamente nel cammino della missione che Egli fa con i discepoli con chiaro scopo pedagogico-parenetico per questi ultimi.

In più, occorre soffermarci sulla precisa annotazione temporale dell’evento raccontato da san Marco: «sei giorni dopo» (Mc 9,2); ciò sembra alludere a quanto accadde nella celebrazione dell’Alleanza da parte del popolo eletto ai piedi del Sinai dopo l’uscita dall’Egitto, concretamente si riferisce al fatto che, dopo sei giorni che la nube divina copriva il monte, «al settimo giorno il Signore chiamò Mosè dalla nube» (Es 24,16) e «Mosè entrò dunque in mezzo alla nube e salì sul monte» (Es 24,18). In questo modo, la trasfigurazione di Gesù sul monte adesso richiama la manifestazione della gloria di Dio al Sinai dopo la liberazione del popolo dalla schiavitù. Gesù, il nuovo Mosè, sale ora sul monte ed entra anche lui nella nube divina per essere trasformato, anzi trasfigurato dalla gloria di Dio, per dimostrare a tutti la meta ultima di un nuovo esodo del popolo, dalla schiavitù dei peccati alla libertà dei figli di Dio. Non a caso san Luca esplicita il contenuto della conversazione tra Gesù con i due rappresentanti di tutta la Scrittura, Mosè (Legge) ed Elia (Profeti): «Parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme». Si allude chiaramente alla Passione di Gesù, al suo “passaggio” cioè Pasqua di morte e risurrezione, che si compie allora secondo la Parola di Dio preannunciata al Popolo eletto nella sacra Scrittura. La missione di Gesù è quindi il cammino di un “nuovo esodo”, tanto sognato dal profeta Isaia (cf., ad es., Is 43,16-21). Sarà l’esodo definitivo che fa uscire il popolo dall’oppressione dei peccati e della morte per passare alla pienezza della vita in Dio. Esso però passerà pure per il deserto di tentazioni, fatiche, sofferenze, ma finirà sempre con l’entrata nella Terra promessa. Se la missione di Gesù è così, sarà diversa quella dei suoi discepoli?

In questa prospettiva, nella preghiera del Prefazio di questa domenica, «iniziando la Preghiera eucaristica, il sacerdote, a nome di tutto il popolo, ringrazia Dio per mezzo di Cristo nostro Signore per il mistero della trasfigurazione: “Egli, dopo aver dato ai suoi discepoli l’annunzio della sua morte, sul santo monte manifestò la sua gloria e chiamando a testimoni la legge e i profeti indicò agli apostoli che solo attraverso la Passione possiamo giungere a trionfo della Risurrezione”» (Direttorio Omiletico n. 65). Sulla stessa linea, il Catechismo della Chiesa cattolica sottolinea: «La trasfigurazione ci offre un anticipo della venuta gloriosa di Cristo (…). Ma ci ricorda anche che “è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio” (At 14,22)» (n. 556). Questo “necessario” delle tribolazioni per la gloria, ovviamente, non vuol dire che i discepoli di Cristo le dovranno cercare o addirittura creare a loro piacere (come i masochisti!). Esso afferma semplicemente la verità, cioè che la missione dei discepoli sarà come quella del Maestro. Tale missione dovrà scontrarsi contro delle difficoltà, delle sofferenze, le croci di ogni giorno, per il Vangelo e per il Regno di Dio. Il monte della trasfigurazione si collega con il monte Calvario. Non dobbiamo sorprenderci allora, se ci sono degli ostacoli (incluse le tentazioni) nel cammino cristiano missionario, ma ci dobbiamo ricordare sempre delle parole rassicuranti del Maestro: «Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33).

2. «Rabbi, è bello per noi essere qui!» Riscoprire la bellezza dello stare con il Signore

Da queste parole di Pietro possiamo intuire quanto straordinaria doveva essere la sua esperienza nel vedere Gesù trasfigurato con le vesti «splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche», come l’evangelista Marco lo descrive a modo suo, in maniera originale, per sottolineare il colore bianco divino, non-terrestre. Bisogna però precisare che, in base al racconto, quanto sperimentato da Pietro e altri discepoli sul monte non era solo una forte esperienza visiva, ma di tutti i sensi, particolarmente dell’udito, mentre ascoltavano Mosè ed Elia conversare con Gesù. Tale vissuto “integrale” di tutto l’essere fa esclamare a Pietro a Gesù «Rabbi, è bello per noi essere qui!»; ciò fa sognare anche a noi, ora, tale momento paradisiaco della vita.

A tal proposito, va ricordato ancora che la bella esperienza con il Signore glorioso ci viene offerta in ogni santa Messa, in cui siamo immersi nell’ascolto della Parola, nella comunione eucaristica con Cristo che si unisce sacramentalmente con i suoi discepoli. Sono i momenti preziosi che Cristo dona ai suoi fedeli nel cammino della missione, come una specie di trasfigurazione sacramentale settimanale/quotidiana di Cristo per noi, affinché possiamo anche gustare un pizzico della nostra trasfigurazione con Lui e in Lui. A tal proposito, ecco l’invito ispirato dell’autore sacro: «Guardate a lui e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti», anzi, «Gustate e vedete quanto buono è il Signore» (Sal 34,6.9). In effetti, «ciò che i tre prescelti discepoli odono e contemplano nella trasfigurazione, viene ora esattamente a convergere con l’evento liturgico, nel quale i fedeli ricevono il Corpo e il Sangue del Signore. (…) Mentre sono quaggiù, i discepoli vedono la gloria divina risplendere nel corpo di Gesù. Mentre sono quaggiù, i fedeli ricevono il suo Corpo e Sangue e odono la voce del Padre che dice ad essi nell’intimità dei loro cuori: “Questo è il mio Figlio prediletto nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo!”» (Direttorio omiletico n. 68).

In quest’ottica, questa domenica quaresimale della trasfigurazione magari sarà l’occasione per rinnovare il nostro vivere ogni santa messa che sia sempre di più un momento di forte esperienza del Cristo glorioso come una volta sul monte alto in Galilea.

3. «[Gesù] ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti» I veri discepoli della trasfigurazione

La trasfigurazione continua e culmina con la manifestazione divina attraverso due elementi già comparsi nella teofania sul monte Sinai: la nube che li copre e la voce (dalla nube) che conferma l’identità di Gesù come “l’amato” e “Figlio [di Dio]”, proprio come nel Battesimo di Gesù. In tale prospettiva, la raccomandazione «Ascoltatelo!» della voce divina, che risuona dalla nube sul monte come sul Sinai, acquista un significato fondamentale per i discepoli: ora in Gesù si manifesta la pienezza della Parola del Padre, data a Mosè (Legge) ed Elia (Profeti). «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose» (Eb 1,1-2).

Dopo la raccomandazione del Padre di ascoltarlo, il commando di Gesù ai discepoli sembrava alquanto strano: «ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti». Perché? Non bisognava annunciare a tutti quanto l’accaduto, a testimonianza e prova dell’identità messianica divina di Gesù? Senza perderci in varie spiegazioni di carattere storico, tale ordine misterioso di Gesù si mostra significativo dal punto di vista teologico-spirituale. Sottolinea anzitutto che la sua risurrezione dai morti sarà il pieno compimento della sua trasfigurazione, sperimentata in quel momento dai discepoli. Di conseguenza, il vero senso di questo evento sul monte sarà compreso e accolto in modo completo e giusto solo dopo avere percorso con Gesù tutto il suo cammino della missione dal monte della trasfigurazione al Calvario per arrivare poi all’esperienza di Cristo risorto e asceso al cielo. In altri termini, solo chi ha completato tutto il cammino con Gesù fino alla passione, morte, e risurrezione, potrà comprendere e quindi annunciare il Cristo completo e in modo corretto, secondo la visione divina, e non quella umana (che vuole solitamente una gloria senza croce).

Come Pietro, Giacomo, Giovanni, siamo tutti chiamati a diventare sempre più discepoli della trasfigurazione, cioè discepoli di Cristo trasfigurato. Siamo chiamati concretamente a salire spesso sul monte con Lui a “entrare nella nube” dello Spirito senza paura, e soprattutto ad ascoltare e seguire Lui come l’unica via al Padre, riflettendo costantemente nel segreto dell’anima su tutti i misteri di Cristo e tenendoli con sé, per essere anche noi tutti trasformati, anzi, trasfigurati con Lui ed in Lui nel nostro cammino cristiano missionario. Ed è ora di (ri)cominciare. Da questa domenica della Trasfigurazione.

 

Spunti utili:

Papa Francesco, Messaggio per la Quaresima 2024, Attraverso il deserto Dio ci guida alla libertà

Quando il nostro Dio si rivela, comunica libertà: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile» (Es 20,2). Così si apre il Decalogo dato a Mosè sul monte Sinai. Il popolo sa bene di quale esodo Dio parli: l’esperienza della schiavitù è ancora impressa nella sua carne. Riceve le dieci parole nel deserto come via di libertà. Noi li chiamiamo “comandamenti”, accentuando la forza d’amore con cui Dio educa il suo popolo. È infatti una chiamata vigorosa, quella alla libertà. Non si esaurisce in un singolo evento, perché matura in un cammino. Come Israele nel deserto ha ancora l’Egitto dentro di sé – infatti spesso rimpiange il passato e mormora contro il cielo e contro Mosè –, così anche oggi il popolo di Dio porta in sé dei legami oppressivi che deve scegliere di abbandonare. Ce ne accorgiamo quando ci manca la speranza e vaghiamo nella vita come in una landa desolata, senza una terra promessa verso cui tendere insieme. La Quaresima è il tempo di grazia in cui il deserto torna a essere – come annuncia il profeta Osea – il luogo del primo amore (cfr Os 2,16-17). Dio educa il suo popolo, perché esca dalle sue schiavitù e sperimenti il passaggio dalla morte alla vita. Come uno sposo ci attira nuovamente a sé e sussurra parole d’amore al nostro cuore.

L’esodo dalla schiavitù alla libertà non è un cammino astratto. Affinché concreta sia anche la nostra Quaresima, il primo passo è voler vedere la realtà. Quando nel roveto ardente il Signore attirò Mosè e gli parlò, subito si rivelò come un Dio che vede e soprattutto ascolta: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele» (Es 3,7-8). Anche oggi il grido di tanti fratelli e sorelle oppressi arriva al cielo. Chiediamoci: arriva anche a noi? Ci scuote? Ci commuove? Molti fattori ci allontanano gli uni dagli altri, negando la fraternità che originariamente ci lega. […]

Accogliamo la Quaresima come il tempo forte in cui la sua Parola ci viene nuovamente rivolta: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile» (Es 20,2). È tempo di conversione, tempo di libertà. Gesù stesso, come ricordiamo ogni anno la prima domenica di Quaresima, è stato spinto dallo Spirito nel deserto per essere provato nella libertà. Per quaranta giorni Egli sarà davanti a noi e con noi: è il Figlio incarnato. A differenza del Faraone, Dio non vuole sudditi, ma figli. Il deserto è lo spazio in cui la nostra libertà può maturare in una personale decisione di non ricadere schiava. Nella Quaresima troviamo nuovi criteri di giudizio e una comunità con cui inoltrarci su una strada mai percorsa. […]