
Suor Rosaria Assandri: la missione, l'Africa e lo stupore di ogni giorno
Suor Rosaria, da dove vieni, quanti anni hai e come inizia la storia della tua vocazione nelle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Sono una bergamasca, di Caravaggio, ho 63 anni. La storia della mia vocazione inizia grazie alla povertà della mia famiglia. Finita la scuola elementare volevo continuare con le medie ma al nostro paese non c’era la scuola, si doveva andare in altri paesi e non avendo possibilità economiche avevo scelto di cercare un lavoro per pagarmi gli studi. A quel tempo le suore Salesiane di Melzo cercavano ragazzine, chiamate figlie di casa, per lavori domestici e offrivano poi la possibilità di frequentare la scuola. Cosi iniziai il mio percorso. La bontà e l’allegria di quelle suore mi conquistarono. Ero scalmanata per il gioco e vedere quelle suore giocare con i bambini è stata per me l’ultima goccia per poi chiedere di farmi suora. Ero molto giovane per cui dovetti aspettare, ma poi via con tanto entusiasmo.
Da 32 anni sei in missione: è stata la missione a scegliere te o il contrario o tutte e due?
Non so dare un prima o un dopo … Il Signore ha giocato molto sulla mia incoscienza, Lui ha guidato tutto e con umiltà devo dire che ha giocato bene. Sono contenta di quello che sono, la vita non è stata facile, incomprensioni, difficolta’ e tutto il resto non hanno fatto altro che darmi una spinta per andare avanti cercando di cambiare i miei difetti, ma non sempre ci sono riuscita.
L’Africa ormai è il tuo Paese di adozione. Da 32, infatti, sei in missione in questo continente, tra Etiopia, Sud Sudan e Sud Africa. Qual è il tuo impegno attuale?
Dopo aver aperto un orfanotrofio in Kenya, e la nuova missione in Sud Sudan, la mia superiora, su invito del Vescovo, mi ha mandata ad aprire la missione di Gubrye, nella zona del Guraghe. A circa 170 km a sud ovest di Addis Abeba. Qui non abbiamo scuole, offriamo ai bambini, giovani e donne, la possibilità di un posto dove trovare accoglienza e recuperare o migliorare l’istruzione. l’oratorio come posto gioioso dove giocare e imparare a stare insieme. Alle donne è offerta la possibilità di imparare un lavoro con la scuola di taglio e cucito e panetteria. Ai giovani offriamo la gioia dello sport, soprattutto calcio, cercando il più possibile di tenerli lontani dalla strada. La missione è molto bella, curata e sempre ordinata, credo molto che la bellezza educa e dà pace e serenità all’essere . E tutti abbiamo bisogno di questo aspetto. Io faccio tutto questo con le mie sorelle, siamo in tre e grazie a Dio è una bella comunità.
Nel tuo percorso di missione s’inserisce anche una malattia, la malaria cerebrale, che ti ha portato alla paralisi: com’è stato viverla in missione e cosa ti ha insegnato quel periodo?
La malattia è stata un dono, dopo il coma e la fisioterapia durata 9 mesi, ecco la rinascita. Intanto devo ringraziare tantissimo il personale dell’ospedale Sacco di Milano per la professionalità e gentilezza che ho potuto sperimentare. E' stato un periodo molto sereno e in quel periodo ho capito una cosa molto importante. A volte perdiamo un sacco di tempo dovuto alle difficolta’ comunitarie, difficolta’ di vedute. Ecco, sono ritornata alla missione con la decisione di non perdere più tempo ed energie, sono tornata forte di questa consapevolezza: sono venuta per dare una mano a questa povera gente e questo è tutto quello che devo fare con amore, il resto non conta.
Cosa ti colpisce e ti provoca stupore della missione e dell’essere missionaria, pur se sono passati diversi anni dal tuo inizio?
Mi colpisce tanto l’essere stata capace di certe scelte, ma ancora devo riconoscere che ho una bella dose di incoscienza ed è il Signore che porta avanti tutto. Amo tanto la Madonna e ogni giorno sperimento la Sua presenza, Don Bosco ha detto che è la Madonna che ha fatto tutto, anche se non manca la nostra collaborazione. Questo è lo stupore dell’inizio e di ogni giorno.