I Domenica di Avvento (Anno A) "La sapienza nell’attesa del Figlio dell’uomo"
Beato Bartolomeo Xeki, Laico giapponese, martire; San Virgilio di Salisburgo, Vescovo
Is 2,1-5;
Sal 121;
Rm 13,11-14a;
Mt 24,37-44
Andiamo con gioia incontro al Signore
COMMENTO BIBLICO-MISSIONARIO
La sapienza nell’attesa del Figlio dell’uomo
All’inizio del tempo di Avvento e al contempo principio di un nuovo anno liturgico, ricordiamo ancora una volta il carattere missionario di ogni messa, per soffermarci poi sui due aspetti più importanti che il Vangelo di questa prima domenica di Avvento ci vuole suggerire per la nostra attesa della venuta del Signore.
1. L’indole missionaria e “avventina” di ogni messa
Sarà opportuno riprendere ciò che abbiamo sottolineato già l’anno scorso, fin dall’inizio della nostra avventura con la Parola di Dio:
Ogni messa ha già in sé il carattere missionario, perché è la testimonianza attiva comunitaria della fede cristiana dei partecipanti. Il legame tra la messa celebrata e la missione della Chiesa emerge chiaro con il saluto finale che suona in originale latino “Ite missa est” (da cui proprio deriva il termine messa per la celebrazione eucaristica). Come ci insegna Papa Benedetto XVI, «[Nel saluto ‘Ite, missa est’,] ci è dato di cogliere il rapporto tra la Messa celebrata e la missione cristiana nel mondo. Nell’antichità “missa” significava semplicemente “dimissione”. Tuttavia essa ha trovato nell’uso cristiano un significato sempre più profondo. L’espressione “dimissione”, in realtà, si trasforma in “missione”. Questo saluto esprime sinteticamente la natura missionaria della Chiesa. Pertanto, è bene aiutare il popolo di Dio ad approfondire questa dimensione costitutiva della vita ecclesiale, traendone spunto dalla liturgia» (Esortazione Apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis, 22 febbraio 2007, n. 51).
L’indole missionaria della messa emerge ancor di più e raggiunge il suo culmine con l’acclamazione dell’assemblea dopo la consacrazione del corpo e sangue di Cristo. All’annuncio del sacerdote Mysterium fidei “Mistero della fede”, il popolo acclama: Mortem tuam annuntiamus, Domine, et tuam resurrectionem confitemur, donec venias “Annunciamo la tua morte, Signore, / proclamiamo la tua risurrezione, / nell’attesa della tua venuta”.
Quest’azione liturgica mette in risalto la vocazione di ogni cristiano al mondo d’oggi di essere annunciatore/testimone dei misteri pasquali della passione, morte, e risurrezione di Cristo, fino alla sua seconda venuta. Anzi, davanti al Gesù eucaristico, ogni partecipante è chiamato a confermare solennemente la missione che Egli stesso ha affidato alla Chiesa, comunità dei fedeli: “Andate e annunciate”, “andate e predicate il Vangelo”, “sarete i miei testimoni”. Tale missione va svolta fino al ritorno di Cristo, come ricordato dal Concilio Vaticano II: «Pertanto, il periodo dell’attività missionaria si colloca tra la prima e la seconda venuta di Cristo, in cui la Chiesa, qual messe, sarà raccolta dai quattro venti nel regno di Dio. Prima appunto della venuta del Signore, il Vangelo deve essere annunziato a tutte le nazioni» (AG 9). In altri termini, tutto il tempo nostro attuale è sempre quello della missione, donec venias “finché [Tu] venga”.
Tale contesto liturgico-missionario generale va vissuto particolarmente nella celebrazione eucaristica dei giorni e delle domeniche di Avvento, quando, tramite le preghiere e le letture previste per ogni messa, si sottolinea appunto l’aspetto dell’attesa della venuta del Signore.
2. Un richiamo alla sapienza nell’attesa del Figlio dell’uomo
L’insegnamento evangelico odierno è tratto dal Vangelo di Matteo e si trova all’interno del discorso di Gesù sugli ultimi tempi (Mt 24-25). La prima parte si concentra sulla venuta del Figlio dell’uomo, mentre la seconda fornisce la raccomandazione di vegliare.
Gesù paragona la sua venuta con “i giorni di Noè”. Il paragone risulta molto appropriato per sottolineare le due caratteristiche del tempo della “venuta”: “diluvio universale” e “salvezza degli individui”. Va ricordato che il richiamo a Noè si trova di nuovo in 1Pt 3,20-21; 2Pt 2,5; Eb 11,7 (da leggere per la meditazione), sempre in questa prospettiva diluvio-salvezza. Ciò fa intravedere la popolarità del pensiero originale di Gesù tra i primi cristiani.
Inoltre, come un maestro-rabbino nella tradizione giudaica, Gesù esplicita il paragone in maniera “haggadica”, vale a dire illustrando la questione tramite racconti. Egli, nella sua spiegazione, menziona due coppie di azioni tipiche umane (ogni coppia rappresenta la figura stilistica del “merismo”, cioè l’indicazione di due aspetti complementari per descrivere la totalità). La prima coppia è “mangiare-bere” per esprimere tutte le attività dell’uomo nel momento presente, mentre il “prendere moglie-marito” (o meglio “sposare-maritare”) fa intravedere in qualche modo la preoccupazione per il futuro. Inoltre, questa serie di verbi, con molta probabilità, alludono anche a una vita tra i piaceri e i festeggiamenti, senza prestare attenzione alle altre cose più importanti che accadono intorno. Infatti, san Paolo ha anche denunciato questo tipo di vita in Rm 13,13: «Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie» (seconda lettura). Non a caso, infatti, vivendo in questo modo «non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti» (lett. ἔγνωσαν “sapevano/cercavano di capire” come nel v.43!)
A quanto pare, abbiamo qui la frase chiave dell’insegnamento di Gesù: l’ignoranza non ti salva dalla morte, anzi di fronte a questa non c’è la cosiddetta “ignoranza innocente” o la “buona fede”. Si tratta di un atteggiamento simile al “lasciar andare” e ad una certa rassegnazione. Qui l’ignoranza è stoltezza, perché l’uomo “ignora”, cioè rifiuta, i segni dei tempi, e si chiude nei suoi soliti pensieri e pratiche “normali”, nella propria “superficialità spirituale”, come ha ben commentato un esegeta: «La generazione del diluvio non è condannata per la sua immoralità, ma per la superficialità spirituale» (R. Fabris, Matteo, Borla, Roma 1996). Negli autori biblici, infatti, ecco la frase tipica sulla bocca di “questa generazione”: «Mangiamo e beviamo, perché domani moriremo» (Is 22,13; cf. 1Cor 15,31). Dall’osservazione critica di Gesù emerge un messaggio implicito di forte impostazione sapienziale: “Oh uomo, àpri gli occhi! Svègliati! Per la tua vita! Perché c’è la fine, anzi, il fine di tutto, perché c’è Dio. Lo stolto, invece, continua a pensare: non c’è Dio (cf. Sal 14; Sal 53), e si sente sicuro nella sua ‘ignoranza’” (cf. Pro 14,16; 15,14).
Si accentua, perciò, alla fine di questa prima parte dell’insegnamento di Gesù, la situazione finale in quel giorno della venuta, sempre con l’uso delle coppie di immagini complementari (“merismo”) per esprimere, da un lato, la totalità, l’universalità del giudizio (“uomo-donna”, “nel campo-a casa [alla mola]”), e dall’altro, la possibilità reale di essere salvato o perduto (portato via – lasciato). Tutto è possibile; niente è scontato o sicuro, tranne il fatto che ci sarà la “parusia”, ossia la venuta del Signore.
3. «Vegliate dunque, perché non sapete...»
È la raccomandazione centrale che Gesù lascia ai suoi discepoli non solo per oggi o per questo tempo di Avvento, ma anche per tutta la loro vita. La frase viene ripetuta in Mt 25,13, alla fine della parabola delle dieci vergini! Ciò fa intravedere l’importanza di questo insegnamento, che del resto si nota anche qui, nel vangelo odierno, perché Gesù rafforza e sviluppa la propria raccomandazione con una serie di esortazioni nella stessa prospettiva.
La prima esortazione di approfondimento è un invito alla sapienza della mente per vivere e sopravvivere: «Cercate di capire questo...» (lett. “[ri]conoscete/sapete” – verbo come al v.38). Risulta interessante l’accenno all’ora della venuta del ladro. Si tratta dell’immagine quasi proverbiale, ripetuta nel NT ma poco simpatica, perché fortemente negativa (cf. 1Ts 5,2; 2Pt 3,10; Ap 3,3; 16,15). Tuttavia, non si tratta del parallelo tra le persone (Gesù e il ladro), ma tra le imprevedibilità dei due momenti. Bisogna quindi imparare a prepararci per difendere la casa dell’anima contro ogni imprevedibilità; bisogna imparare a prevedere l’imprevisto! L’unica certezza nella vita: Viene il figlio dell’uomo (vv.37.39.44).
Ed ecco il consiglio finale di Gesù: “tenetevi pronti” o, letteralmente, “siate/diventiate pronti/preparati” (v.44). L’invito sapienziale di prima (“Cercate di capire questo...”) diventa una specie di raccomandazione esistenziale accorata! La prontezza raccomandata si collega chiaramente con la serietà della vita: non nel trascorrere il tempo da festa a festa, tra il mangiare e il bere, bensì nella costante preparazione spirituale con sapienza e timore, come un atleta che si allena per affrontare una gara importante, secondo il consiglio divino in Pro 23,17-21 e Rm 13,11-14 (da leggere per la meditazione). Tutto ciò è perché «nell’ora che non immaginate [lett. “pensate/presumete”], viene il Figlio dell'uomo». L’insistenza di nuovo sull’apertura della mente e del pensiero: Non sarà come vi pare! Perciò, vegliate! Siate svegli! Fate sempre attenzione (alla venuta del Figlio dell’uomo, alle sue parole ed azioni)! Diventate sapienti! Tant’è vero che nella tradizione orientale, prima di proclamare il Vangelo, il diacono “grida”: sofia “sapienza” per richiamare l’attenzione.
Abbiamo cominciato un nuovo anno liturgico, un nuovo Tempo di Avvento. Che sia anche l’inizio di una nuova tappa della vita sapiente e vigilante nell’attesa della venuta del Signore. Prestiamo magari più attenzione alle realtà sicure della fine, alle cose spirituali e soprannaturali della vita, e soprattutto alla voce del Signore che chiama e accompagna ognuno/ognuna di noi in ogni momento e situazione quotidiana, in particolare, durante ogni celebrazione eucaristica. Anzi, ci alleniamo ancora di più nell’ascolto del Signore tramite la lettura assidua della sua Parola nelle Sacre Scritture, nello stare in comunione con Lui nella preghiera costante, nella veglia frequente, per tenere sempre di più in noi il suo Santo Spirito, la Sapienza che viene dall’alto, in mezzo al caos, alle confusioni, agli smarrimenti del mondo. Tali azioni, mi preme sottolineare ancora ora, ci aiuteranno a essere vigili, anzi, ardenti nell’attesa, a rendere saldi i cuori; ci ricorderanno il dovere di camminare nella santità verso “quel giorno” della salvezza finale con il Signore; e accenderanno l’entusiasmo di testimoniare a tutti il Cristo morto e risorto, donec veniat “finché Egli venga”. Amen. Maranathà!