MESSA VESPERTINA NELLA VIGILIA
Natale del Signore (Anno A-B-C)
Canterò per sempre l’amore del Signore
Is 62,1-5;
Sal 88;
At 13,16-17.22-25;
Mt 1,1-25
MESSA DELLA NOTTE
Natale del Signore (Anno A-B-C)
Oggi è nato per noi il Salvatore
Is 9,1-6;
Sal 95;
Tt 2,11-14;
Lc 2,1-14
MESSA DELL’AURORA
Natale del Signore (Anno A-B-C)
Oggi la luce risplende su di noi
Is 62,11-12;
Sal 96;
Tt 3,4-7;
Lc 2,15-20
MESSA DEL GIORNO
Natale del Signore (Anno A-B-C)
Tutta la terra ha veduto la salvezza del nostro Dio
Is 52,7-10;
Sal 97;
Eb 1,1-6;
Gv 1,1-18
COMMENTO BIBLICO-MISSIONARIO[1]
“Che dire? È Natale!”, così un parroco comincia e subito finisce la sua predica durante la messa di Natale, per la gioia dei fedeli che devono di solito ascoltare le lunghe omelie del loro sacerdote! E così potremmo aprire e chiudere subito la nostra riflessione per questa Solennità, perché effettivamente di fronte al mistero della nascita di Cristo, Dio fatto uomo, mistero della verità divina, inaudita e mai abbastanza approfondita, e della festa di suprema gioia per tutti gli uomini, ogni parola per commentare o per spiegare diventa superflua. Non c’è niente di più sensato da dire di questa semplice affermazione: “È Natale!”
Sì, basterà una tale esclamazione di felicità e poi che cessi ogni discorso umano per ascoltare solo la voce divina in questa santissima notte, e magari anche lungo il santissimo giorno e tutto il tempo natalizio. Bisogna fare silenzio nel cuore e nella mente oggi, magari anche e soprattutto davanti al presepe della chiesa, lasciando perdere ogni altra preoccupazione mondana (inclusa quella di scattare qualche foto di ricordo del presepe!). Entriamo noi tutti, fedeli, in quel mistico silenzio di mezz’ora, per sentire la voce di Dio che parla a noi, sia abbondantemente nelle varie letture e preghiere liturgiche delle quattro messe previste per il Natale, sia attraverso il bambino Gesù appena nato, che vuole sussurrare il suo messaggio ancora oggi a ognuno di noi, i suoi in questo mondo.
1. La primissima “parola” del neonato Gesù
Come sottolinea la seconda lettura della messa del giorno, «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,1-2). Ma in che modo? Curiosamente ma significativamente, dal punto di vista storico-esistenziale, la prima “parola”, che Gesù ha emesso in terra, è stato il suo pianto, come tutti i bambini appena nati (Tant’è vero che tale pianto si chiama in Vietnamita tieng khoc chao doi “il pianto che saluta la vita”!). Ed è proprio in questo pianto natale, così naturale e apparentemente banale, che si può cogliere un messaggio profondo su cui dobbiamo soffermarci nel silenzio di stupore e di adorazione. Il Dio fatto uomo ha parlato nei primi momenti della sua venuta in terra, piangendo.
Al di là di essere una reazione spontanea secondo la legge fisico-biologica (il neonato piange per iniziare a respirare), è stato il pianto di solidarietà con tutta l’umanità e così diventa immagine emblematica dell’incarnazione di Dio. Quando Egli si è fatto carne, ha preso su di sé tutte le condizioni umane, deboli, fragili, ferite dal peccato. Nel suo pianto iniziale si sente il gemito dell’umanità, anzi di tutta la creazione in attesa della redenzione. Il Figlio di Dio, “Unigenito nato dal Padre prima di tutti i secoli”, è nato nel tempo non per cancellare dall’esistenza il pianto umano, ma per assumerlo su di sé e per renderlo divino. Così, da quel momento in poi, Gesù continuerà a piangere di fronte alle situazioni tragiche e dolorose di uomini e donne del suo tempo (e misticamente di ogni generazione), ma proclamerà Egli stesso beati quelli che piangono ora, perché saranno consolati (Mt 5,4), proprio da Dio e proprio con la soave presenza di Emmanuele – “Dio con noi”.
2. La duplice gioia
In questo modo, la primissima voce di Gesù che piange segnala l’inizio anche di una grande gioia, e ciò è vero su duplice piano. Primo, sul piano naturale esistenziale, il pianto del neonato suscita la gioia immensa in tutti per una nuova vita, a partire dalla madre che in quel momento si dimentica di tutte le fatiche dell’attesa e del parto. Si tratta di una verità umana universale che Gesù stesso affermerà, curiosamente, nel suo ultimo discorso ai discepoli: «La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo» (Gv 16,21). Questa gioia naturale sta dietro l’acclamazione del profeta Isaia: «Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio» (Is 9,5), la quale si rifà al grido gioioso della famiglia per la nascita di un bambino, come attestato anche nella tradizione biblico-giudaica (cf. Ger 20,15; Sal 113,9). Tutto è perché l’arrivo del figlio apre a tutti il futuro ed assicura la continuità della vita in famiglia e nella società, indipendentemente dalle condizioni o status sociale. È una gioia così umana e così semplice che vince i dolori, sfida ogni avversità, rischiara le tenebre del presente. È quella che Maria e Giuseppe sicuramente hanno vissuto e trasmesso a tutti coloro con cui si sono incontrati.
Bisogna allora recuperare questa gioia “terrena” con la nascita di Gesù più di duemila anni fa, per poter sentire un’altra gioia ancora più grande che viene dalla fede. Sul piano teologico-spirituale, si vede, nel neonato Gesù, non solo il dono di una nuova vita e di un futuro garantito, ma anche l’inizio fattivo del compimento del piano di Dio per l’umanità: Egli adesso è venuto, in carne e ossa, per salvarci, per darci vita in abbondanza, quella divina. È quanto annunciato dall’angelo di Dio ai pastori in quella notte: «Ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10-11). Si tratta di un annuncio fondamentale, proclamato ripetutamente ogni Natale nel vangelo durante la messa di mezzanotte, perché si attua in modo mistico e misterioso il mistero della nascita di Gesù Salvatore per la gioia della salvezza “di tutto il popolo”. Quell’“oggi” nell’annuncio angelico si riferisce non solo a quella data unica a Betlemme duemila anni fa, ma anche e soprattutto a ciò che accade ancora adesso tra noi. Esso dura così sino alla fine dei tempi. Il Signore Gesù è nato anche nel nostro “oggi”, e il segno per riconoscerlo è sempre quello indicato dall’angelo: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12). Vale a dire un bambino piccolo, fragile, indifeso che sa solo piangere di fronte alle avversità. Aspettavano il Leone della tribù di Giuda, ed è venuto l’Agnello di Dio (cf. Ap 5,5-6)! Questa è la nostra gioia del Dio vicino, tenero, delicato, che vuole entrare nella nostra vita in punta di piedi, con tutto il rispetto della nostra libertà, per accompagnarci alla salvezza non con i segni della potenza, ma con la potenza dei segni, per ripetere una bella formulazione usata da Papa Francesco.
3. Lo zelo di una vita per Dio
Il pianto iniziale del bambino Gesù inaugura, in maniera eloquente, una vita tutta dedicata alla missione ricevuta da Dio Padre. Come abbiamo sentito domenica scorsa dalla Lettera agli ebrei, Cristo, entrando nel mondo, ha dichiarato solennemente a Dio Padre: «Ecco io vengo per fare la tua volontà». Questa voce mistica di Cristo, pieno di zelo e determinazione per una missione speciale per Dio e per la salvezza dell’umanità, trova poi la sua espressione ancora più forte e commovente nelle parole del profeta Isaia, che la prima lettura della messa nella vigilia ci fa risentire: «Per amore di Sion non tacerò, / per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, / finché non sorga come aurora la sua giustizia / e la sua salvezza non risplenda come lampada» (Is 62,1-2).
Finché c’è ancora qualche pianto in qualche angolo della terra, Gesù viene ancora per piangere con chi piange e per portare tutti al momento della salvezza definitiva quando Dio asciugherà ogni lacrima. La missione divina continua, ed Egli la compie con zelo con e nella sua vita, invitando i suoi discepoli a fare altrettanto con e nella loro vita: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21). Rimane perciò sempre attuale l’elogio di Isaia al messaggero che annuncia la salvezza di Dio agli uomini, come ci ricorda la prima lettura della messa del giorno: «Come sono belli sui monti / i piedi del messaggero che annuncia la pace, / del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza» (Is 52,7).
Allora, oggi, chi sarà l’angelo di Dio, quel messaggero divino, che annuncia la Buona Notizia della nascita di Cristo Salvatore? Chi annuncerà il messaggio di Dio ai “pastori” odierni, quelli che si trovano fuori delle città e lontano dalle luci moderne e che magari non aspettano un tale onore di essere comunicati e chiamati a conoscere la gioia di e in Cristo? Chi sarà il missionario che continua lo zelo di Cristo per la salvezza di tutti? Lascio la risposta a Te che stai leggendo queste righe. Non dico nient’altro. In fin dei conti, che dire? È Natale!
Spunti utili:
Papa Francesco, Angelus, Piazza San Pietro, Domenica, 22 agosto 2021
«Dio si è fatto carne. E quando noi diciamo questo, nel Credo, il giorno del Natale, il giorno dell’annunciazione, ci inginocchiamo per adorare questo mistero dell’incarnazione. Dio si è fatto carne e sangue: si è abbassato fino a diventare uomo come noi, si è umiliato fino a caricarsi delle nostre sofferenze e del nostro peccato, e ci chiede di cercarlo, perciò, non fuori dalla vita e dalla storia, ma nella relazione con Cristo e con i fratelli. Cercarlo nella vita, nella storia, nella vita nostra quotidiana. E questa, fratelli e sorelle, è la strada per l’incontro con Dio: la relazione con Cristo e i fratelli».
Papa Francesco, Lettera Apostolica sul significato e il valore del presepe, Admirabile signum, n. 8
«Il modo di agire di Dio quasi tramortisce, perché sembra impossibile che Egli rinunci alla sua gloria per farsi uomo come noi. Che sorpresa vedere Dio che assume i nostri stessi comportamenti: dorme, prende il latte dalla mamma, piange e gioca come tutti i bambini! Come sempre, Dio sconcerta, è imprevedibile, continuamente fuori dai nostri schemi. Dunque il presepe, mentre ci mostra Dio così come è entrato nel mondo, ci provoca a pensare alla nostra vita inserita in quella di Dio; invita a diventare suoi discepoli se si vuole raggiungere il senso ultimo della vita».
P. Manna, Virtù apostoliche, Bologna 1997, p. 291
«Con il cuore ancora riscaldato dai dolci affetti che le Feste Natalizie ispirano ad ogni cuore sacerdotale […] il mio pensiero è corso di preferenza a voi [i missionari], che siete gli Ambasciatori, gli Angeli destinati da Dio a portare la Buona Novella a tante povere anime; a voi ai quali il Natale ha certamente acceso in cuore un desiderio ancor più vivo di far nascere Gesù nelle anime, in tutte le anime che vi sono affidate».
Direttorio Omiletico
111 «Il Natale è la festa della luce. È opinione diffusa che la celebrazione della nascita del Signore fu fissata a fine dicembre per imprimere una valenza cristiana alla festa pagana del Sol invictus. Potrebbe anche non essere così; se già nella prima parte del terzo secolo Tertulliano ha scritto che Cristo fu concepito il 25 di marzo, giorno che, in alcuni Calendari, è indicato come il primo dell’anno. E’ possibile così che la festa del Natale sia stata calcolata a partire da tale data. In ogni caso, dal quarto secolo in poi, molti Padri hanno riconosciuto il valore simbolico del fatto che, per loro, le giornate si allungavano dopo la festa del Natale. […] Le letture e le preghiere delle varie liturgie natalizie sottolineano il tema della vera Luce che viene a noi in Gesù Cristo».
[1] Offriamo ancora, per una più approfondita riflessione, il commento biblico-missionario, scritto l’anno precedente sulle stesse letture delle messe, perché è sempre attuale e importante per tutti noi.