
GIORNATA MONDIALE DELLA VITA CONSACRATA: UNA TESTIMONIANZA DALL’AUSTRALIA
Mi presento, mi chiamo Suor Rosalie Ilboudo, appartengo all'Istituto delle Francescane Missionarie di Maria. Sono nata in Burkina Faso e attualmente mi trovo in missione in Australia.
La mia congregazione si è fidata di me formandomi come infermiera e ostetrica. E anche dandomi la possibilità di servire come missionaria in alcuni paesi dell’Africa e del Madagascar prima di essere inviata qui in Australia nel 2020. Nella mia missione, più volte le mie sorelle hanno avuto fiducia in me: mi hanno affidato otto anni di servizio come ispettrice del Burkina Faso, Niger e Togo, che all'epoca formavano una provincia e cinque anni come coordinatore per l'Africa, le Isole e il Medio Oriente, allora composta da 13 ispettorie. Ho avuto anche l'opportunità di servire come Presidente dell’Unione delle Superiori Maggiori del Burkina e del Niger. Tutto questo mi ha preparato alla missione per la quale non finirò mai di essere preparata!Devo molto alle mie consorelle e a tutte le persone che la missione ha messo sul cammino della mia vita missionaria.
Cosa significa per te essere missionaria e cosa significa per te la parola missione?
Essere missionaria per me significa essere aperta e accorgermi della presenza di Dio in me, attorno a me nella vita quotidiana. Detto questo, ogni cristiano riceve la sua missione da Cristo stesso, inviato dal Padre. Quindi come missionaria cerco di seguire le sue orme con la grazia dello Spirito Santo contribuendo alla Sua Missione.
La parola missione per me significa la manifestazione dell'Amore di Dio per l'umanità. È quindi un atteggiamento di accoglienza e di offerta della presenza di Dio proprio nella mia vita quotidiana. La missione non è primariamente FARE ma ESSERE: è riconoscere la presenza di Dio negli altri ed essere per loro questa presenza divina.
Qual è stata l’esperienza missionaria che ti ha formato di più?
Molte esperienze missionarie mi hanno segnato, ma la più recente è quella con gli aborigeni australiani nel 2022-2023. È durato solo un periodo molto breve (maggio 2022-agosto 2023) ma ha plasmato la mia vita e ha cambiato in modo permanente la mia visione della missione. Senza questa esperienza vissuta, infatti, non avrei definito la missione come ho fatto sopra. Stare con gli indigeni, un popolo profondamente credente e contemplativo, ha purificato il mio concetto di missione e spero che sia così per il resto della mia vita.
Essere consacrati: sfide e opportunità
Sfide: Essere consacrati per una ragazza africana è innanzitutto la grande sfida della rinuncia alla famiglia, che per l'africano è vitale. Accettare non solo di non far più parte della mia famiglia biologica, quella che mi ha visto nascere e crescere e che conta sul mio contributo per sostenerla (fisicamente ed economicamente) ma anche di non continuare la famiglia (creando una nuova famiglia ). L'altra sfida è non avere il controllo della mia vita: con il voto di obbedienza infatti posso sempre discutere, dare la mia opinione, ma l'ultima parola spetta ai miei superiori. Questa è la sfida più grande nel mondo di oggi. C'è anche la sfida dell’interculturalità: accettare e accogliere gli altri così come sono, con ciò che li rende quello che sono.
Opportunità: Essere consacrato significa anche aprirmi alla sorpresa di Dio nella mia vita. E le sue sorprese superano le mie rinunce: ad esempio, la sfida di rinunciare alla mia piccola famiglia biologica mi apre ad una famiglia più grande, posso diventare tutto per tutti. Essere consacrato mi libera per essere disponibile alla missione ovunque mi chiami e per sperimentare quotidianamente questo Dio provvidente.
ll Papa ci ha invitato nell'ultimo Giubileo dei Comunicatori a raccontare la speranza: di quale speranza puoi farti testimone?
Posso testimoniare la speranza dell'universalità della fraternità. Ovunque sono stata in missione, sono sempre stato ”adottata” dalla gente e io l'ho “adottata”. Qui in Australia, la mia missione con gli indigeni mi ha commosso profondamente. Mi hanno adottato al punto da darmi un cognome “napnaga” e un’appartenenza familiare che deriva dal nome. Tale adozione tra loro non solo richiede del tempo ma è addirittura rara.